La sinistra nazionalsocialista. Intervista con Michelangelo Ingrassia Stampa E-mail

La sinistra nazionalsocialista. Intervista con Michelangelo Ingrassia

a cura di Francesco Algisi

 

ingrassia_sinistra  Michelangelo Ingrassia è docente a contratto di Storia dell'età contemporanea presso la facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Palermo. Autore di L'idea di fascismo in Arnaldo Mussolini (Isspe, Palermo, 1998) e La rivolta della Gancia (L'epos, Palermo, 2006), ha recentemente dato alle stampe il volume La sinistra nazionalsocialista. Una mancata alternativa a Hitler (Cantagalli, Siena, 2011).

  Prof. Ingrassia, che rapporto c’è tra il nazionalsocialismo di sinistra e la sinistra nazionalsocialista?

  Nazionalsocialismo di sinistra e sinistra nazionalsocialista sono due categorie politiche decisamente contrapposte. Il nazionalsocialismo di sinistra configura una declinazione del partito e del regime hitleriano. Hitler inserisce nel programma del suo partito proposte di riforma sociale per intercettare il consenso del proletariato; dopo la presa del potere realizza una politica sociale per mantenere questo consenso. La nazionalizzazione di alcune industrie, la modernizzazione delle fabbriche attraverso una politica di detrazioni fiscali per gli industriali, la possibilità di vacanze a basso costo per i lavoratori, la protezione sociale assicurata ai giovani, la sicurezza sociale assicurata agli anziani, la detassazione dei salari e la crescita dell’occupazione sono politiche di sinistra che Hitler attua anche grazie alla spoliazione degli ebrei tedeschi. Tuttavia Hitler mantiene intatta la struttura capitalistica della Germania. Si può dire che quello di Hitler è un capitalismo sociale praticato attraverso la nazificazione di alcuni principi della sinistra.
  La sinistra nazionalsocialista è invece un movimento di uomini e idee che si organizza dentro il partito con programmi, giornali e case editrici alternativi a quelli hitleriani, che aspira all’annientamento del capitalismo attraverso una forma di bolscevismo che non rinuncia al valore della Nazione e al ruolo dello Stato, che si ispira a quella sinistra nazionale tedesca erede di Lassalle, dei “socialisti della cattedra”, di Rodbertus; non a caso alcuni teorici della sinistra nazionalsocialista, come Otto Strasser, provenivano dalla sinistra socialdemocratica; e non a caso essi chiedevano, con il giovane Goebbels, addirittura l’espulsione di Hitler dal partito contestandone peraltro l’ossessivo antisemitismo che spostava l’attenzione da quello che essi consideravano il nemico principale: il capitalismo.

  Quali elementi accomunavano le diverse anime della sinistra nazionalsocialista?

  La sinistra nazionalsocialista era essa stessa un’anima della sinistra nazionale tedesca all’interno della quale operava anche il movimento nazionalbolscevico tedesco organizzato attorno alla rivista Der Widerstand (La Resistenza) e ai relativi circoli operanti in tutta la Germania weimeriana. Le idee-forza della sinistra nazionale tedesca erano: l’alleanza della Germania con l’Unione Sovietica contro il militarismo francese, contro l’imperialismo inglese e contro il capitalismo di Wall Street per disintegrare l’ordine mondiale fondato a Versailles, un’alleanza da estendere a tutti i popoli che soffrivano sotto l’oppressione delle potenze imperialiste occidentali in Asia e in Africa; lo scorporo delle grandi proprietà terriere e l’immissione forzosa di tutti gli agricoltori in comuni, la fusione delle piccole imprese in corporazioni, la socializzazione delle macro-aziende industriali; il mantenimento della forma federale dello Stato tedesco. I medesimi elementi programmatici si ravvisano nel movimento della “Rivoluzione Conservatrice” che, non a caso, si trovava sulla stessa trincea della sinistra nazionale tedesca. Rivoluzione Conservatrice e Sinistra Nazionale si schieravano assieme contro la Repubblica di Weimar, considerata al servizio dell’Occidente liberalcapitalista, e contro Hitler, ritenuto al servizio della borghesia tedesca.

  Come si poneva la sinistra nazionalsocialista rispetto al marxismo?

  Il marxismo aspirava ad una società senza classi e senza Stato e disconosceva il principio della comunità nazionale. La sinistra nazionale, sia quella interna al nazionalsocialismo e sia quella che si rifiutò di aderire al partito hitleriano, auspicava una società senza classi ma con lo Stato, concepito come ente che avrebbe dovuto garantire la giustizia sociale e preservare la comunità nazionale. Va chiarito che il nazionalismo della sinistra nazionale non aveva il suo punto d’origine nel concetto di razza bensì nel principio di Patria. La sinistra nazionale, infatti, si richiamava al nazionalismo prussiano che vedeva nella Nazione il comune destino di un popolo che condivideva la propria storia nella stessa terra. Hitler, invece, si ispirava al nazionalismo pangermanico, che vedeva nella Nazione la storia di un popolo razzialmente accomunato dallo stesso sangue.

  Qual era la posizione della sinistra nazionalsocialista riguardo alla Russia bolscevica?

  Per la sinistra nazionale in generale, e per la sinistra nazionalsocialista in particolare, l’Unione Sovietica rappresentava un modello da seguire, era la dimostrazione storica e pratica di un autentico bolscevismo nazionale; la Russia di Lenin e di Stalin incarnava il modello del socialismo nazionale. Non si trattava di una visione campata in aria; basti pensare che nel 1921, in occasione del celebre congresso di Livorno, Filippo Turati aveva affermato, rivolto agli esponenti che poi daranno vita al Partito Comunista d’Italia, che il bolscevismo russo era nazionale e smentiva la tesi internazionalista di origine marxiana. Per motivi diversi e contrapposti, Turati e gli esponenti della sinistra nazionale tedesca avevano la medesima visione della Russia bolscevica.

  Si dice che Otto Strasser, durante la Seconda guerra mondiale, abbia collaborato con i servizi segreti sovietici…

  Nel mio libro mi sono occupato di storia delle idee. Non ho approfondito la storia dei fatti. Tuttavia è un fatto che Otto Strasser, e anche Ernst Niekisch e tanti altri esponenti della sinistra nazionale tedesca, collaborarono con la resistenza antinazista dopo la presa del potere hitleriana.

  Sussistono delle analogie tra la sinistra nazionalsocialista e la sinistra fascista?

  Sul piano teorico la sinistra nazionalsocialista e la sinistra fascista condividono l’idea che il socialismo sia l’unica vera alternativa al capitalismo e condividono che il socialismo non sia antitetico al concetto di nazione. Sul piano pratico le cose cambiano. La sinistra nazionalsocialista fu eliminata culturalmente e sterminata fisicamente da Hitler subito dopo la sua ascesa al potere; essa non solo non sopravvisse al nazismo ma fu erroneamente assimilata ad esso. La sinistra fascista sopravvisse al fascismo e, come hanno documentato gli storici Parlato, Buchignani e Neglie, nell’Italia repubblicana essa si disperse all’interno del Pci, del Msi e del Psi; rimase però un fenomeno minoritario perché venne travolta dalla guerra fredda che soffiò fortissimo anche in Italia. Resta, però, un patrimonio di idee che potrebbe avere un imprevedibile destino oggi che la guerra fredda è finita e il capitalismo mostra il suo vero volto. Un volto che non è nazionale ma cosmopolita.

  Qual è, secondo lei, la figura più rappresentativa della sinistra nazionalsocialista?

  Senza ombra di dubbio Otto Strasser e il fratello Gregor. Dovremmo aggiungere i congiurati del 1944. L’esponente di spicco del più ampio fenomeno della sinistra nazionale tedesca resta però Ernst Niekisch, il quale dopo essere stato liberato dal carcere di Brandeburgo il 27 aprile 1945 aderì al partito comunista della Repubblica Democratica Tedesca.

  Lei accenna brevemente (pag.55) al Partito comunista operaio tedesco (Kapd), che "sviluppava le prime linee di quella tendenza nazionalbolscevica erede della sinistra nazionale e destinata a gravitare nell'area della rivoluzione conservatrice"…

  Il Partito Comunista Operaio Tedesco nacque nel 1919 da una scissione dal Partito Comunista Tedesco e fu fondato da Heinrich Laufenberg e Friedrich Wolffheim. Essi teorizzavano un’alleanza strategica con i nazionalisti contro il capitalismo e la socialdemocrazia; contestavano l’internazionalismo comunista, il riformismo socialdemocratico, il centralismo democratico leninista; auspicavano una dittatura nazionale del proletariato. Nel suo pamphlet L’estremismo malattia infantile del comunismo, Lenin criticò severamente la posizione di Laufenberg e Wolffheim. Si tratta di una pagina di storia da riscoprire, che dimostra come a Weimar erano crollati i blocchi di Destra e Sinistra e il conflitto politico si combatteva su un discrimine diverso e per certi versi oggi attuale: quello tra capitalismo e anticapitalismo. Soltanto quando capiremo che non tutto il pensiero di destra è capitalista e non tutto il pensiero di sinistra è anticapitalista potremo riposizionare le forze in campo e progettare una dialettica politica in grado di affrontare la postmodernità.

  Nel suo libro, si legge che il ”nazionalismo” dei comunisti (Karl Radek, per esempio) “fu sempre tattico e mai strategico: serviva a mobilitare la fasce medie e la borghesia in loro favore” (pag.119). Questa “regola” presenta qualche eccezione degna di nota?

  No. Il comunismo tedesco rimase ancorato ai principi del marxismo; la socialdemocrazia tedesca rimase ferma sulle posizioni riformiste. L’antinternazionalismo impedì ai comunisti tedeschi di allearsi con la sinistra nazionale e con la socialdemocrazia; l’antibolscevismo impedì ai socialdemocratici tedeschi di allearsi con i comunisti e con la sinistra nazionale. Hitler, spietato e cinico, ne approfittò e conquistò le masse e il potere. Quando la società civile, i movimenti collettivi, i partiti non riescono a capire che la politica segna un discrimine nuovo che richiede alleanze inedite è sempre il più astuto ad approfittarne. In genere il più astuto è anche il più cattivo. Il nuovo Hitler potrebbe non avere i baffetti e la divisa ma un volto seducente e un elegante abito blu con camicia bianca e cravatta d’ordinanza.
  Recentemente Bruno Arpaia si è chiesto in un bel libro, significativamente intitolato Per una sinistra reazionaria, se oggi si può essere di sinistra e reazionari, se si può da sinistra riscoprire l’importanza del concetto di comunità; e già Pasolini si era chiesto se fosse stato possibile un uso rivoluzionario della tradizione. Il mio libro tenta di spiegare che a queste domande, una certa sinistra in Germania aveva già trovato delle risposte; ma rimase inascoltata e venne travolta.


2 aprile 2012

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