L’idea di fascismo in Arnaldo Mussolini. Intervista con Michelangelo Ingrassia Stampa E-mail

L’idea di fascismo in Arnaldo Mussolini. Intervista con Michelangelo Ingrassia

a cura di Francesco Algisi

ingrassia_arnaldo  Michelangelo Ingrassia è docente di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Istituto Superiore di Giornalismo in convenzione con l’Università degli Studi "Kore" di Enna. Ha indirizzato la propria attività di ricerca sull’età contemporanea, dedicando particolare attenzione a figure e temi del Risorgimento ed estendendo le sue indagini storico-politiche al periodo post-risorgimentale, al fascismo e all’autonomismo siciliano. Componente dal 1998 al 2004 del gruppo di redazione della rivista scientifica Rassegna Siciliana di Storia e Cultura, collabora con diversi quotidiani e riviste con la pubblicazione di recensioni e articoli di argomento storico-politico.  Segretario del Comitato di Palermo dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, è autore di diversi saggi e monografie, tra i quali si segnala il volume L’idea di fascismo in Arnaldo Mussolini (Isspe, Palermo, 1998).

  Prof. Ingrassia, lei scrive (pag.76) che per Arnaldo Mussolini "l'unica, vera grande rivoluzione necessaria all'Italia" consisteva nel "costruire l'italiano nuovo". Quali caratteristiche avrebbe dovuto possedere l'uomo nuovo auspicato dal fratello del Duce?

  Arnaldo Mussolini criticava i vizi tipici dell’Italiano: la faciloneria, il lassismo, la furbizia, l’individualismo, il campanilismo. Nella costruzione dell’Italiano nuovo egli si ispirava al Cives, al cittadino romano e dunque alla tradizione storica italiana: il rispetto della legge, il senso del dovere e della responsabilità, lo spirito comunitario. Se per Benito l’Italiano fascista doveva credere, obbedire e combattere, per Arnaldo invece doveva anche acquisire una nuova mentalità e un nuovo stile di vita; doveva essere consapevole dei valori in cui credere e per cui obbedire e combattere se necessario. Per Arnaldo, insomma, l’Italiano nuovo doveva mazzinianamente vivere secondo la legge, il dovere, la responsabilità, sentendosi parte di un tutto costituito dalla comunità nazionale italiana. Ma il fascismo, alla fine, divenne facilone, lassista e furbo esso stesso.

  "La sua formazione di cattolico lo portava ad avere ... dei punti fermi sui quali nessuna mediazione, nessun compromesso era possibile" (pag. 89). Quali erano questi punti fermi?

  È una questione caratteriale e psicologica che riguarda il modo di essere e di fare e, di conseguenza, l’approccio con la politica. Aderire ad una idea, ad una visione del mondo significa, per un mistico, avere fede assoluta in essa e praticarla lottando per realizzarla, senza cedimenti e deviazioni; Arnaldo considerava il fascismo una idea, una concezione del mondo, una fede; un punto fermo, appunto.

  Quali differenze sussistono tra l'intransigenza di Arnaldo Mussolini e quella di Farinacci?

  Quella di Farinacci è una intransigenza politica, è estremismo; in Arnaldo vi è una intransigenza morale. Per Arnaldo non era sufficiente dichiararsi fascista o lottare per mantenere il fascismo al potere; bisognava vivere, pensare, agire e operare da fascisti e costruire uno Stato, una società, una mentalità, un carattere fascisti. L’estremismo fu una malattia infantile anche per il fascismo; un costume e uno stile fascista, uno spirito del tempo di segno fascista non si riuscì a forgiare. Si ebbe invece una retorica esasperata fatta di parate ed esibizionismi dietro la quale vi era il vuoto.

  Secondo il cattolico Arnaldo Mussolini - si legge a pag. 182 - "l'elemento antidivorzista e quello dell'insegnamento religioso nella scuola" non erano "sostanziali nella vita di un popolo"…

  Arnaldo scrive questa frase nel difficile 1925 per criticare l’atteggiamento dei popolari che – secondo il suo parere – stavano utilizzando tatticamente il divorzio e l’educazione religiosa per creare difficoltà al governo. Arnaldo contrapponeva una visione strategica dell’azione politica chiamata innanzitutto a dare un destino di giustizia sociale al popolo; una priorità che per il cattolico Arnaldo doveva essere tale anche per i credenti. Non era la legge sul divorzio o l’educazione religiosa a garantire il futuro al popolo italiano; bisognava prima gettare le fondamenta per costruirlo, il futuro.

  Anche Arnaldo – come il Duce – riteneva che l’educazione della gioventù fosse di esclusiva competenza dello Stato?

  Non dello Stato in quanto tale, ma dello Stato fascista. Se il fascismo era una visione del mondo, lo Stato fascista doveva educare le generazioni ai valori di quella concezione del mondo. Il partito, invece, era chiamato a formare gli educatori.

  Lei scrive (p. 194) che quello di Arnaldo Mussolini fu "forse l'unico tentativo di parte fascista di fare del fascismo un mito"…

  Trasformare il fascismo in mito politico significava trasformare un programma politico in forza capacitante in grado di mobilitare tutte le energie di un popolo e di ispirarne i comportamenti, i principi e il cammino nella storia. Arnaldo voleva fare del fascismo ciò che la Rivoluzione del 1789 rappresenta ancora oggi per i francesi e che il Risorgimento non riuscì a rappresentare mai per gli Italiani: un mito, appunto, una fonte perenne di tradizioni, valori e principi che orientano la vita di un popolo.

  Come si può definire la visione totalitaria dello Stato e del Partito sostenuta da Arnaldo Mussolini (cui allude alle pagg. 210, 237 e 301)?

  Non si tratta di totalitarismo nel senso corrente del termine. La democrazia, oggi, è “totalitaria” in quanto permea di sé, con i suoi valori e principi, tutti gli aspetti della vita umana nella sua totalità. Arnaldo assegnava al fascismo questa vocazione totalitaria di trasformazione rivoluzionaria della realtà nella sua interezza e ampiezza. In questo senso fascismo significava per Arnaldo nuove istituzioni politiche, economiche e sociali, nuovi principi morali; alternativi a quella democrazia totale che già negli anni Venti del Novecento, non soltanto per il fascismo ma anche per il comunismo, era assediata e insidiata dal potere del denaro. Il Partito, per Arnaldo Mussolini, ha una missione: quella di formare una classe dirigente capace di raccogliere e vincere questa sfida.

  Che rapporto esiste tra l'idea dello Stato fascista ("che ha una sua etica", pag. 260) propugnata da Arnaldo Mussolini e quella sostenuta da Giovanni Gentile?

  In fondo quello di Gentile è sempre una forma di liberalismo, nazionalpopolare quanto si vuole ma liberalismo. Per Gentile lo Stato fascista deve garantire l’ordine e la sicurezza – come lo Stato liberale – e in più l’integrazione nazionale di ogni sua parte chiamata ad agire nello Stato e con lo Stato. Per Arnaldo Mussolini lo Stato fascista ha una missione più ampia, universale: costruire e garantire una etica della convivenza alternativa alla convivenza liberale e a quella comunista.

  Arnaldo era favorevole alla separazione tra lo Stato e la Chiesa?

  Il fatto che il fascismo avesse risolto, con il Concordato, una vertenza storica non doveva significare, per Arnaldo, che lo Stato fascista dovesse diventare prigioniero della Chiesa. Per Arnaldo lo spirito rinnovatore del fascismo aveva una ampiezza che superava la forza sociale e politica della Chiesa, tanto da inglobarla in se stesso.

  Come si poneva Arnaldo rispetto alla Regalità sociale di Cristo (di cui parla l’enciclica Quas primas di Pio XI dell’11 dicembre 1925) e al riconoscimento dei diritti divini in ambito politico?

  Arnaldo non era certamente nostalgico della teocrazia. Egli considerava il fascismo una religione laica non avversa al Cattolicesimo, una concezione del mondo che comprendeva in sé i valori cristiani.

  Quale posizione assunse Arnaldo riguardo al dissidio con la Santa Sede sull’Azione Cattolica?

  Per il fratello del duce l’educazione dei giovani era compito dello Stato fascista, la formazione della classe dirigente era compito del Partito fascista e la mistica del fascismo comprendeva in sé i valori cattolici; tutto questo, ai suoi occhi, rendeva superflua l’esistenza di una organizzazione come l’Azione Cattolica. Non c’era antitesi morale e sociale tra fascismo e cattolicesimo. Secondo il suo punto di vista, naturalmente.

  Nel pensiero di Arnaldo Mussolini si trovano "tracce di mazzinianesimo" (cfr. pagg. 221, 236, 300). Come si concilia questo aspetto con il fervore cattolico del fratello del Duce?

  Se Benito tentò di coniugare Marx e Nietzsche, Arnaldò tentò di conciliare mazzinianesimo e Cattolicesimo partendo dal concetto di “Dio e Popolo”. Il comunitarismo di Mazzini, l’idea mazziniana della presenza di Dio nella storia, il solidarismo economico mazziniano, l’etica del dovere erano principi che si conciliavano con le istanze culturali, sociali, politiche ed economiche del Cattolicesimo. Nel fascismo, per Arnaldo, mazzinianesimo e Cattolicesimo si sintetizzavano; del resto Arnaldo considerava il fascismo un movimento spirituale. Egli, peraltro, rimproverava ai cattolici di non avere compreso a fondo la “religiosità” del pensiero mazziniano.

  Lo "spirito profondamente religioso" (pag. 290) era sempre stato costante nella vita di Arnaldo Mussolini o si era andato intensificando nel corso degli anni?

  Se per spirito religioso intendiamo l’adesione alla fede cattolica, allora Arnaldo fu sempre cattolico praticante e osservante. Ma per spirito religioso bisogna intendere un modo di essere e di vedere le cose, un modo di pensare e agire. È dotato di spirito religioso chi, per carattere e forma mentis, è portato a credere in ciò che dice e fa e fa ciò in cui crede e dice; chi aderisce ad una fede e la pratica nella realtà con fermezza e intransigenza morale e materiale. Chi è dotato di spirito laico spesso opera un compromesso tra idea e realtà, tra pensiero e azione. Per Arnaldo, invece,  le premesse teoriche e le conseguenze pratiche devono assolutamente coincidere. In questo senso il suo spirito religioso andò intensificandosi.

  Lei spiega (pag. 264) che, nella concezione di Arnaldo Mussolini, "il reato penale diventava reato morale ed in ogni atteggiamento «immorale» si configurava un reato penale". Ciò deve essere inteso alla luce della morale cattolica?

  No, va inteso alla luce della morale fascista. Bisogna tenere conto che per Arnaldo il fascismo era un movimento spirituale e universale che superava gli angusti confini della contingenza politica per diventare concezione del mondo. Per la morale fascista il reato costituiva non soltanto una violazione del Codice penale o civile ma anche e soprattutto di quel codice etico scolpito nella tradizione storica di un popolo.

  Come va interpretata la posizione di Arnaldo Mussolini contro il posto fisso (pag. 270)?

  Arnaldo, in questa occasione, critica la ricerca del posto fisso statale praticata dalla borghesia. Egli era infastidito dal fatto che la borghesia italiana si era arricchita con gli appalti pubblici dello Stato e cercava gli incarichi pubblici imitando in questo la vecchia aristocrazia settecentesca e ottocentesca. Così la borghesia tradiva, secondo Arnaldo, la propria missione imprenditoriale di forza produttiva.

  Lei scrive (pag. 70) che "il Mussolini socialista rivoluzionario ha delle intuizioni che, per la loro originalità, andrebbero recuperate". A che cosa si riferisce?

  L’itinerario socialista di Benito Mussolini è caratterizzato dalla necessità di revisionare, non riformisticamente ma rivoluzionariamente, il socialismo. Il Mussolini socialista intuisce che la società del primo Novecento è più complessa e articolata della società dell’Ottocento. Accanto alla borghesia e al proletariato si sono formati il ceto medio e il sottoproletariato, entrambi forze sociali antiborghesi; accanto al liberalismo e al socialismo si erano formati il nazionalismo e il sindacalismo rivoluzionario, entrambi movimenti antiliberali e anticapitalisti. Mussolini intuisce che la rivoluzione socialista ha bisogno di queste nuove forze sociali, di questi nuovi movimenti politici, di queste nuove energie culturali. Da qui i suoi contatti con i sindacalisti rivoluzionari, con i nazionalisti, con De Ambris, con Prezzolini e addirittura con il meridionalismo di Salvemini. Egli dunque auspica una grande alleanza tra tutte le classi sociali, i movimenti politici e i circoli culturali antiborghesi e antiliberali che – al tempo della sua militanza socialista – avevano una sintesi nel fenomeno dell’antigiolittismo. Questo processo di revisione rivoluzionaria del socialismo, dopo la revisione riformista, culminò nel congresso socialista del 1914 ad Ancona, ma fu interrotto dalla Prima guerra mondiale.

 

23 gennaio 2011

Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA