Clara E. Mattei
Operazione austerità Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo
Einaudi, pagg.432, € 34,00
Clara E. Mattei (docente di Economia presso la New School for Social Research di New York) ripercorre, in questo ampio saggio, le vie attraverso cui l'austerità ebbe ad affermarsi nel corso del XX secolo, concretizzandosi "quale progetto tecnocratico a guida dello Stato" e trovando "la sua massima espressione nelle economie del primo dopoguerra in Gran Bretagna e in Italia".
Secondo l'Autrice, l'austerità rappresenta "lo strumento più efficace" per "mantenere il capitalismo indiscusso", soggiogando "la maggioranza dei cittadini al capitale, ovvero quel rapporto sociale che vede i più cedere la propria forza lavoro in cambio di un salario".
Le politiche di austerità assumono tre diverse espressioni – fiscale, monetaria e industriale – che formano quella che Mattei definisce «trinità dell'austerità» e che si sostengono e si rafforzano l'una con l'altra, operando "all'unisono per esercitare una pressione verso il basso sui salari dei cittadini. Il loro scopo era di spostare la ricchezza e le risorse nazionali verso le classi alte, le quali – insistevano gli esperti economici – erano le uniche in grado di risparmiare e investire".
Dalla presente ricerca si evince che "l'austerità è più di una semplice politica economica: è un amalgama di politica e teoria. Le politiche di austerità hanno successo perché presiedono a un insieme di teorie economiche, che le definiscono e le giustificano".
"La storia della controffensiva dell'austerità contro le classi subalterne in ascesa – spiega l'Autrice – ebbe inizio durante due conferenza finanziarie internazionali, svoltesi la prima a Bruxelles, nel 1919, e la seconda a Genova, nel 1922. Queste due conferenze costituirono momenti fondativi del primo piano tecnocratico globale per l'austerità. I memoranda di entrambe le conferenze trovarono una rapida e diretta applicazione in Europa, in particolare in Gran Bretagna e in Italia, due contesti socioeconomici collocati agli estremi. Da un parte la Gran Bretagna, una solida democrazia parlamentare guidata da istituzioni consolidate da tempo e da un'ortodossia di valori vittoriana; un impero la cui egemonia economico-finanziaria, antica di secoli, veniva ora contestata dall'avanzare degli Stati Uniti. Dall'altra parte l'Italia, un Paese economicamente arretrato e scosso da recenti ondate rivoluzionarie e da un duro conflitto sociale. L'Italia non era autosufficiente e dipendeva pesantemente da imsportazioni e capitali esteri. Nell'ottobre 1922 il fascismo di Mussolini avrebbe preso le redini del Paese".
Pur essendo mondi ideologicamente opposti, la Gran Bretagna, culla del liberismo, e l'Italia, luogo di nascita del fascismo, superano le proprie le linee di divisione e cominciano a convergere grazie all'adozione dell'austerità, che "trascende qualunque differenza ideologica e istituzionale, spingendo Paesi diversi verso un obiettivo simile: la necessità di riabilitare l'accumulazione capitalistica in contesti dove il capitalismo ha perso la sua innocenza e ha rivelato le proprie tendenze classiche".
Secondo l'Autrice, l'austerità è "una costante del capitalismo moderno in ricorrente crisi" e svolge il ruolo di "protettrice del capitalismo, promossa e giustificata dagli Stati come strumento per «correggere» le economie nazionali, aumentandone «l'efficienza»: riforme di breve termine per guadagni a lungo termine".
A trarre vantaggio in un regime di austerità, oggi come negli anni Venti del XX secolo, "rimangono pochi ricchi: l'1 per cento più ricco della popolazione vive soprattutto dei redditi da capitale generati dalla ricchezza posseduta (cioè dividendi, interessi). Il resto della popolazione – coloro che contano soltanto sul reddito generato da loro lavoro, o l'ultimo 60 per cento, che vive di un insieme di salari bassi e benefici sociali – ci ha perso e continua a perderci". |