Aa. Vv.
Lotta comunista Annata 2020
Edizioni Lotta comunista, pagg.714, € 15,00
Questo volume, che raccoglie tutti gli articoli pubblicati sul mensile "Lotta Comunista" da gennaio a dicembre 2020, è particolarmente interessante perché ci offre, insieme con una robusta dose di materiale di informazione, le analisi serie e accurate dei redattori del periodico sulle conseguenze politiche, sociali ed economiche innescate dalla crisi pandemica.
Nel numero di marzo 2020, un articolo firmato G.C. fa notare come la sfida innescata dal virus rappresenti un test per l'imperialismo europeo nel suo complesso, "chiamato nuovamente a un salto in avanti nella centralizzazione dei suoi poteri ma, allo stesso tempo, esposto ai varchi lasciati dal proprio ritardo".
La pandemia – spiega Renato Pastorino – "diventa un'arma dello scontro fra le grandi potenze, al pari degli aiuti sanitari, della "diplomazia delle mascherine". Lo stesso vale per i vaccini, dove sono impegnati decine di centri di ricerca che, invece di agire assieme secondo un piano, lavorano di fatto in concorrenza tra loro: una corsa al vaccino su cui incombe l'ombra delle multinazionali dei farmaci. Se mai si stabiliranno alleanze e collaborazioni internazionali, anche queste non sfuggiranno alla logica di potenza: la violenza della pandemia mette a nudo la violenza della contesa e le contraddizioni insanabili del capitalismo". La pandemia pone altresì "problemi di approfondimento sulla teoria dello Stato, dei suoi poteri, delle forme della democrazia imperialista, sulle legislazioni d'emergenza applicate nei diversi paesi". L'Autore invita a "scavare in profondità sulle conseguenze strategiche della pandemia, che incide sui rapporti di potenza. Le stesse considerazioni valgono per le conseguenze sociali e le inevitabili ricadute sulle ideologie e sulle forme politiche".
"Il coronavirus – scrive E. P. nel numero di settembre 2020 – si mostra un fattore di accelerazione della ristrutturazione già in atto in molti settori perché brucia liquidità".
Franco Palumberi, autore di una serie di articoli sulla "battaglia mondiale dell'automobile", ripercorre la storia dell'auto elettrica mettendo in risalto "il ruolo strategico dello sviluppo delle batterie nell'elettrificazione dell'auto". La prima generazione di auto elettrica montava una batteria al piombo (con un'autonomia pari a 90 km e tempi di ricarica di 6 ore), la seconda utilizzava batterie al nichel (con un'autonomia pari a 240 km e tempi di ricarica di 8 ore). Oggi il cuore dell'auto elettrica è invece rappresentato dalla batteria al litio. "A parità di peso – scrive Palumberi - una batteria agli ioni di litio ha da tre a quattro volte la densità energetica di una batteria al piombo. Il suo limite attuale è il costo, pari a circa un terzo del costo dell'auto. Poiché il litio è un elemento molto reattivo e facile a incendiarsi, i pacchi di batterie al litio sono equipaggiati con sofisticati sistemi elettronici di controllo che verificano con centinaia di sensori la temperatura del sistema, i livelli di carica di ogni singola cella, l'efficienza generale. È la complessità di questa batteria, oltre al prezzo del litio e del cobalto, ad alzarne il costo finale". "La transizione energetica – aggiunge l'Autore – sarà un doloroso processo nel quale l'auto elettrica è di interesse strategico, perché darà impulso allo sviluppo scientifico e tecnologico, alla modernizzazione della rete elettrica e alla riduzione della dipendenza dal petrolio".
Della questione demografica si occupa, in diversi articoli, Piermaria Davoli, il quale segnala che la popolazione mondiale, attualmente pari a 7,8 miliardi (erano 6,1 all'inizio del secolo), "dovrebbe superare i 9 miliardi a metà secolo. Il dato più significativo, oltre al dimezzamento del ritmo complessivo di crescita in 50 anni, è il fatto che il calo è generalizzato: non esiste regione del mondo che non segua questa tendenza".
Bruno Ferroglio firma un articolo intitolato "L'espansione navale di Pechino", dal quale emerge che, al di là delle apparenze, la distanza tra la marina cinese e la US Navy "è ancora notevole": "Il tonnellaggio medio delle unità americane è 3,7 volte superiore. La misura è approssimativa, ma significativa perché, più le unità sono grandi, maggiore è la loro capacità di imbarcare sistemi d'arma. In termini di dislocamento totale il rapporto è di 3 a 1, a segnalare la grande differenza nei mezzi di proiezione (portaerei e portaelicotteri)".
Paolo Migone, in una ricerca sulle radici dell'atlantismo tedesco, esamina la Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik, fondata nel 1955 con il compito di analizzare "scientificamente" la politica estera e di consigliare il governo tedesco in merito: essa è però "anche un ambito che sin dalle sue origini e dai suoi nessi è culla dell'atlantismo tedesco, la cui relazione diretta con l'euroatlantismo americano è di così lunga data da poter affrontare le spinte francesi all'autonomia strategica europea". Focalizzando l'attenzione sulla formazione e sull'origine della DGAP, l'Autore pone in risalto il "Westhindung", "il legame occidentale della Germania, le cui due gambe hanno sempre marciato assieme nel dopoguerra, seppure con dosaggi differenti a fronte dei rapporti internazionali. Il vertice attuale della DGAP, la direttrice Schwarzer e il presidente Enders, sembrano impersonare bene questo dualismo euro-atlantico, che la DGAP e soprattutto la politica estera tedesca hanno incarnato assieme sin dall'immediato dopoguerra, ma che ora deve affrontare l'evoluzione della nuova fase strategica".
Prendendo spunto dalle dimissioni del premier giapponese Shinzo Abe, Gianluca De Simone fa il bilancio "sia del mutamento degli equilibri politici interni sia del tentativo di Tokyo di compensare il proprio ventennio perduto. Ossia in che misura Abe abbia contribuito a risolvere parte dello squilibrio politico e del sostanziale stallo strategico dell'Arcipelago, alla luce dell'ascesa di potenza cinese e dell'accelerazione del declino relativo americano". Con un approccio 'pragmatico' tanto sul piano delle relazioni internazionali quanto su quello delle dinamiche politiche interne, Abe ha accresciuto "la capacità di proiezione militare esterna di Tokyo, pur in combinazione con Washington", sfruttando – al pari di Nakasone negli anni '80 e di Koizumi dal 2001 – "la sponda americana e l'acuirsi della contesa imperialista".
De Simone si occupa anche del conflitto riesploso alla fine di settembre del 2020 nel Caucaso meridionale tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karabakh. In particolare, l'Autore analizza il ruolo della Turchia in una contesa che si inquadra nell'ambito delle "guerre dell'unificazione europea". Dall'articolo emergono diversi concetti di un certo rilievo: in particolare, si segnalano lo "sciame sismico globale" (tema approfondito da De Simone in un intervento precedente) e l'"ineguale sviluppo" come fattore determinante dell'azione delle potenze piccole, medie e grandi (questo è un concetto enunciato da Cervetto nel 1980).
È ancora De Simone a esaminare il "decollo" dell'Etiopia sotto l'influenza cinese: "L'Etiopia occupa una posizione strategica nel Corno d'Africa, regione che si proietta verso il Golfo Persico e l'Oceano Indiano. Dagli anni 2000 si è fatta pioniera di uno sviluppo sul modello cinese, basato sulla realizzazione di grandi «parchi industriali», in particolare nel tessile: dall'attuale decina, Addis Abeba mira a realizzarne 40 entro il prossimo decennio, assumendo il ruolo di grande hub dell'industria leggera in Africa". La Cina "ha inserito l'Etiopia nelle "Nuove Vie della Seta", finanziando al 70% il rinnovamento della ferrovia Gibuti-Addis Abeba (476 km), costruita dalla Francia tra il 1897 e il 1917, e di 50.000 km di strade. Nel 2017 valutazioni americane stimavano attorno a un miliardo di dollari annui gli investimenti diretti cinesi in Etiopia, con crediti per 12 miliardi dal 2000, e il 60% del debito estero in mano a Pechino. La Banca Mondiale stima in circa 10.000 i gruppi cinesi presenti in Africa, al 90% privati; in Etiopia sarebbero private il 70% delle aziende cinesi, concentrate in settori manifatturieri".
Sul numero di ottobre, viene commemorato Amadeo Bordiga a cinquant'anni dalla scomparsa, riportando anche il giudizio che Arrigo Cervetto ebbe a esprimere su Bordiga e sul bordighismo in una lettera del 1961.
Nel volume naturalmente c'è molto altro (basti pensare che l'indice delle materie occupa ben 14 pagine), ma non è qui possibile dare conto di tutto. |