La mia terra promessa |
Ari Shavit
IL LIBRO – Sessantacinque anni dopo la sua fondazione, Israele deve ancora affrontare alcune questioni fondamentali riguardo alla sua esistenza e al suo futuro. Che cos'è Israele? Uno Stato anacronisticamente colonialista, che non è riuscito a integrare i cittadini arabi; una nazione ebraica minacciata dall'ostilità religiosa dei musulmani; un Paese moderno e democratico che vive in una condizione di guerra permanente. Israele è una realtà politica complessa e contraddittoria che si può tentare di spiegare solo ripercorrendo, senza visioni pregiudiziali, la sua storia. Ed è questo che fa Ari Shavit, seguendo l'epopea degli emigranti che, a partire dalla fine dell'Ottocento, si mossero da diverse parti dell'Europa verso la Terra Promessa. Nel suo lungo racconto, appassionante e rigoroso, si incontrano i pellegrini sionisti che nell'aprile del 1897 partono per la Giudea mossi dalla convinzione che solo nella madrepatria potranno ritrovare la loro identità e il loro Dio; il giovane agricoltore che nel 1920, piantando un aranceto, dà l'avvio al fiorente mercato degli agrumi; le famiglie palestinesi espulse dai loro villaggi nel 1948; i ferventi zeloti che negli anni Settanta danno vita al movimento dei coloni; i soldati del centro di detenzione di Gaza Beach, uno dei tanti sorti dopo l'intifada del 1987, che spianando i fucili contro i prigionieri palestinesi si chiedono se i campi di concentramento non funzionassero nello stesso modo. Viaggiando attraverso il Paese, raccogliendo interviste, documenti storici, testimonianze dirette, Shavit si immerge nelle vicende della sua patria e nella tragedia che mette in pericolo la sua stessa sopravvivenza, realizzando un affresco che unisce sapientemente la dimensione umana e quella storica. DAL TESTO – "La minaccia nucleare iraniana [...] ha anche una contestualizzazione israeliana. Certo, anche Israele è una potenza nucleare, ma non ha mai approfittato di questo. Sebbene sia costantemente nel mirino dei suoi vicini, non ha mai minacciato di spazzarli via. Riguardo al nucleare, Israele si è comportato con un ammirevole senso di responsabilità e civiltà. L'Iran è diverso. I suoi ayatollah vogliono il controllo della regione, e per ottenerlo devono annientare Israele. Se riuscissero a dotarsi della bomba potrebbero usarla, oppure fornirla ad altri disposti a farlo. Un Iran nucleare costringerebbe anche Egitto, Arabia Saudita e Turchia a nuclearizzarsi, quindi lo Stato ebraico verrebbe circondato da un sistema multipolare e instabile che renderebbe la sua posizione strategica impossibile da mantenere e trasformerebbe la vita dei suoi cittadini in un incubo. Eppure, sebbene tutti e tre questi contesti siano da tempo noti e riconosciuti, per anni sia l'Occidente sia Israele non hanno preso alcuna iniziativa nei confronti dell'Iran. Il problema non è ideologico né morale, ma cognitivo. Non ci sono stati buoni né cattivi quando si trattava di rendersi conto degli impianti di arricchimento di Natanz e Fordow, ma soltanto chi è stato capace di vedere e chi invece è rimasto cieco. Nei primi anni del Duemila era evidente a tutti che la missione più importante di Israele doveva essere quella di fare il possibile per evitare di scegliere tra bombardare o essere bombardato. Ma Israele non è stato in grado di affrontare con la dovuta serietà la sfìda dell'Iran. L'establishment strategico e i servizi d'intelligence hanno provato, ma l'opinione pubblica ha continuato perlopiù a ignorare il problema. Priva di conseguenze immediate e senza costi evidenti, la minaccia è rimasta qualcosa di vago e astratto, senza mai entrare nel dibattito politico o pubblico né occupare un posto concreto nella nostra vita. Una resistenza mentale ci ha impedito di capire lucidamente che cosa stesse succedendo in Iran, e in termini di tempo ci è costata dieci anni cruciali durante i quali avremmo potuto fermarlo senza ricorrere alla forza." L'AUTORE – Ari Shavit è nato nel 1957 a Rehovot in una famiglia che annovera fra i suoi antenati alcuni fondatori del sionismo. È giornalista, opinionista per la televisione pubblica israeliana e editorialista di Haaretz, il principale quotidiano israeliano di area liberale. Ventenne, dopo il servizio militare svolto nei territori occupati, è diventato un attivista del movimento pacifista. In seguito, sempre più consapevole dei limiti di questa posizione, ha cominciato, come commentatore politico, a sfidare i dogmi della destra e della sinistra diventando – in patria e negli Stati Uniti – una delle voci più autorevoli e libere sulla questione mediorientale e il conflitto israelo-palestinese. La mia terra promessa è stato insignito del Natan Book Award ed è stato inserito fra i 100 libri dell'anno del New York Times. INDICE DELL'OPERA – Introduzione. Punti interrogativi - 1. A prima vista, 1897 - 2. Nella valle, 1921 - 3. L'aranceto, 1936 - 4. Masada, 1942 - 5. Lidda, 1948 - 6. Case popolari, 1957 - 7. Il progetto, 1967 - 8. Insediamento, 1975 - 9. Gaza Beach, 1991 - 10. Pace, 1993 - 11. J'accuse, 1999 - 12. Sesso, droga e la condizione israeliana, 2000 - 13. Lassù in Galilea, 2003 - 14. I conti con la realtà, 2006 - 15. Occupy Rothschild, 2011 - 16. Lotta per la vita, 2013 - 17. In riva al mare – Ringraziamenti – Fonti - Crediti fotografici |