Globalizzazione |
Joseph E. Stiglitz Globalizzazione Donzelli Editore, pagg.128, € 9,50
IL LIBRO – Il complesso fenomeno della globalizzazione, così come lo conosce il mondo attuale, è caratterizzato, nell’analisi di Joseph Stiglitz, da un clamoroso paradosso: il processo sempre più forte di interdipendenza e di integrazione delle economie del nostro tempo pone agli Stati-nazione domande nuove e ineludibili, ma al tempo stesso riduce drasticamente la loro capacità di dare una risposta compiuta a tali domande. Già un secolo e mezzo fa, quando si formarono gli Stati-nazione, i processi di riduzione dei costi di comunicazione e di trasporto diedero origine a un primo significativo antecedente dell’attuale processo di globalizzazione, ma all’epoca i governi mostrarono una più alta capacità di regolare simili processi. Oggi, la globalizzazione è priva di istituzioni in grado di affrontare le sue conseguenze. Abbiamo un sistema di governance globale, ma ci manca un governo globale. Anzi, ne abbiamo uno, implicito e improprio, quello che, con forte ironia, Stiglitz chiama il «G1»: il potere, assoluto e incontrastato, degli Stati Uniti. E proprio nel momento in cui più forte che mai sarebbe la necessità di solide istituzioni internazionali, la fiducia in quelle che esistono, come il Fondo monetario e la Banca mondiale, raggiunge i livelli più bassi. Il risultato di tutto ciò è un mondo che, per essere ormai privo di rivali esterni, non è per questo meno imperfetto. Oggi abbiamo tutti ben presenti i benefici che derivano dal mercato, ma siamo anche assai consapevoli dei suoi fallimenti. Sappiamo bene che, quando l’informazione è imperfetta, i mercati non funzionano. Così come sappiamo che i meccanismi della crisi – che oggi più che mai colpisce gli equilibri economici mondiali – sono scatenati dai più forti, e finiscono per ricadere necessariamente sui più deboli. Non ci vuole molto a riconoscere che i nostri processi democratici sono ancora largamente incompiuti, e che a farne le spese sono quelle vaste parti del mondo che si affacciano oggi come nuove protagoniste, e che reclamano anch’esse un posto e un ruolo nella scena mondiale. L’obiettivo verso il quale bisogna tendere è dunque il raggiungimento di regole migliori, veramente più democratiche. In ciò la nozione di «trasparenza» è davvero fondamentale. E la democrazia in fin dei conti si rivela, agli occhi di Stiglitz, come la vera scommessa, come il tema ineludibile nell’era della globalizzazione. DAL TESTO – “Le economie emergenti hanno avuto risultati migliori del previsto. Ciò è stato causato in parte dai loro sistemi bancari che godevano di una migliore regolamentazione, in grado di affrontare il rovescio economico, e in parte dal fatto che alcuni di essi, soprattutto la Cina, si sono impegnati in massicci e ben congegnati pacchetti di stimolo di tipo keynesiano. La rapida ripresa della Cine e dell’India, inoltre, ha garantito un aumento della domanda che ha aiutato l’Africa e l’America latina. Il mondo si è mosso in maniera asimmetrica, con gli Stati Uniti e l’Europa apparentemente impantanati in una crescita debole, mentre le economie emergenti sono sfrecciate avanti. Entro il 2011, la Cina avrà superato gli Stati Uniti come maggiore economia del mondo in termini di Parità di potere d’acquisto. Ma anche realizzando misure più convenzionali, la Cina raggiungerà gli Stati Uniti nel prossimo futuro. Un nuovo ordine mondiale emergerà dalla crisi. Il modello economico americano non gode più della fiducia e della credibilità di prima”. L’AUTORE – Joseph Eugene Stiglitz è nato nel 1943 a Gary (Indiana), centro nevralgico dell’industria siderurgica, a sud del lago Michigan. Come ha osservato lo stesso Stiglitz, «deve esserci qualcosa nell’aria di Gary che ti spinge a occuparti di economia: di sicuro la povertà, le discriminazioni, la disoccupazione non possono non colpire un ragazzo che comincia a farsi domande del tipo: perché accade tutto questo, e cosa si può fare per cambiare la realtà?». Assieme al contesto urbano, nella formazione di Stiglitz si rivela fondamentale la famiglia, nella quale si discute vivacemente di politica, e in particolare l’esempio del padre, piccolo imprenditore dotato di un profondo senso civico. Dopo aver frequentato le scuole pubbliche, Joseph trascorre tre anni – «la mia più importante esperienza formativa dal punto di vista intellettuale» – all’Amherst College, una piccola realtà del New England, che si distingue per il metodo, quasi «socratico», di insegnamento. Presto, tra i molteplici interessi, emerge su tutti quello per l’economia, che approfondirà nei successivi due anni trascorsi al Mit. Nel 1965-66, grazie a una borsa di studio, è in Gran Bretagna, a Cambridge; tornato negli Stati Uniti, inizia una carriera universitaria che lo porterà a insegnare nelle più prestigiose università: Mit, Yale, Stanford, Princeton, Columbia. Nel 2001 riceve il premio Nobel per l’economia – insieme a George A. Akerlof e A. Michael Spence – per le ricerche effettuate, sin dagli anni settanta, nell’ambito della teoria dell’informazione asimmetrica, da cui derivano disoccupazione e razionamento del credito. A caratterizzare lo sguardo di Stiglitz è il rifiuto dell’ortodossia, la messa in discussione di ciò che è dato come un dogma in campo economico. Tra le sue pubblicazioni, The Economic Role of the State (1989), in cui sottolinea sia gli errori dei conservatori, che ritengono sempre e comunque negativo l’intervento dello Stato, sia quelli della sinistra, che chiede sempre e comunque un maggiore coinvolgimento dello Stato; Whither Socialism (1994), in cui analizza le ragioni del fallimento economico del socialismo nell’Europa dell’Est e smaschera la presunta libertà del sistema capitalista-liberista; Globalization and Its Discontents (2002), che esamina gli errori delle istituzioni economiche internazionali – in particolare del Fondo monetario internazionale – nella gestione delle crisi finanziarie degli anni novanta. Oltre che svolgere la sua intensa attività accademica e di ricerca, Stiglitz ha ricoperto importanti incarichi istituzionali: presidente dei consiglieri economici (1995-97) nell’amministrazione Clinton e vicepresidente e capo del dipartimento di ricerca economica (1997-2000) nella Banca mondiale. Dal 2003 è membro della Pontificia accademia delle scienze sociali; dal 2005 presiede il Brooks World Poverty Institute, dell’Università di Manchester. INDICE DELL’OPERA – Introduzione, di Laura Pennacchi – La globalizzazione in un mondo imperfetto (2001) – La crisi attuale e le lezioni per la teoria economica (2009-2011) – Post-scriptum (2011)
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