Gilbert Keith Chesterton
L'uomo comune Un elogio del buon senso e della tradizione
Lindau, pagg.378, € 27,00
Nel panorama sempre più affollato della saggistica contemporanea, dominata da voci spesso uniformate al pensiero dominante o, al contrario, volutamente eccentriche per distinguersi, la lettura di "L'uomo comune" di Gilbert Keith Chesterton si impone come un salutare esercizio di lucidità intellettuale. Pubblicata postuma nella sua edizione italiana, questa raccolta di saggi — per quanto eterogenea nella tematica — offre una visione coerente e penetrante della realtà umana, sociale e spirituale, quale solo uno spirito libero, radicato nella tradizione ma aperto al confronto, poteva concepire.
Nonostante l'apparente varietà dei temi — che spaziano dalla letteratura alla religione, dal costume alla filosofia — l'intera opera è attraversata da un filo rosso ben riconoscibile: la difesa del buon senso come cardine della civiltà occidentale. Un buon senso che, secondo Chesterton, si esprime nella figura dell'"uomo comune", ovvero quell'individuo capace di pensare con la propria testa, nel solco della tradizione, senza farsi travolgere dalle mode intellettuali o dai dogmi della modernità secolarizzata. In questo senso, il titolo del libro è già un manifesto ideologico: l'uomo comune non è l'uomo mediocre, ma colui che mantiene un contatto vivo con le verità elementari della condizione umana, quelle che non passano mai di moda perché radicate nell'esperienza quotidiana e nel patrimonio culturale tramandato.
Il valore dell'opera si coglie appieno proprio nella sua struttura "caleidoscopica", che permette a Chesterton di affrontare questioni profondamente diverse con la stessa acuta intelligenza e con il medesimo spirito ironico, che lo ha reso celebre come "il principe del paradosso". Nelle pagine dedicate a figure come Shakespeare, Tolstoj o Henry James, l'autore non si limita a un esercizio critico-letterario, ma fa di questi personaggi il pretesto per riflettere su questioni universali come la moralità, la bellezza, il destino umano. Il lettore non troverà qui interpretazioni accademiche o scolastiche, bensì incursioni vivaci e anticonformiste che restituiscono alla letteratura la sua funzione originaria: interrogare la vita.
Allo stesso modo, nei saggi di taglio più sociale o filosofico — che spaziano dalla frivolezza al nudismo, dalla risata alla volgarità — emerge una visione del mondo profondamente umanistica e cristiana, in cui ogni aspetto della vita quotidiana è letto come espressione di una più ampia battaglia spirituale. In questi testi si coglie la vena polemica di Chesterton, la sua lotta costante contro le "pseudo-teorie" che, in nome di una malintesa emancipazione, hanno dissolto le certezze antropologiche su cui si è fondata per secoli la civiltà occidentale.
Uno degli aspetti più significativi della raccolta è la sua sezione religiosa, nella quale Chesterton mette in campo tutta la sua capacità argomentativa per difendere il Cattolicesimo da attacchi tanto antichi quanto rinnovati. Il saggio sulla reazione di Gladstone e del principe Alberto alla proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione è un esempio lampante del suo metodo: a partire da un fatto storico, l'autore svela non solo l'incomprensione élitaria della religiosità popolare, ma anche la miopia di un pensiero politico che pretende di ridurre la fede a questione amministrativa. In tal senso, la critica all'erastianesimo assume una valenza più ampia, diventando un atto d'accusa contro tutte le forme di colonizzazione ideologica dell'esperienza religiosa.
Chesterton non è mai apologeta cieco; la sua è una fede pensata, argomentata, vissuta come risposta ragionevole alle grandi domande dell'esistenza. Proprio per questo la sua prosa riesce a parlare anche al lettore non credente, purché intellettualmente onesto, perché ciò che egli propone non è una dottrina imposta, ma un invito al confronto, al ritorno alla realtà, alla riscoperta delle radici.
Uno degli strumenti retorici più efficaci del Chesterton saggista — e in "L'uomo comune" lo si nota con particolare evidenza — è l'uso sapiente del paradosso. Lungi dall'essere semplice gioco stilistico, il paradosso diventa qui strumento conoscitivo, mezzo attraverso cui l'autore rovescia le prospettive consolidate per mostrarne la fragilità logica e l'inadeguatezza etica. Un esempio emblematico è il saggio ucronico "Se don Giovanni d'Austria avesse sposato Maria I di Scozia", in cui Chesterton si avventura nel campo della storia alternativa con l'unico scopo di far emergere le dinamiche profonde — politiche, culturali e religiose — che hanno plasmato l'Europa moderna. In questo senso, la sua scrittura non è mai evasione, ma sempre esercizio critico, spesso giocoso, ma mai superficiale.
"L'uomo comune" è, in definitiva, un'opera che merita attenzione ben al di là del pubblico degli appassionati chestertoniani o dei cultori di letteratura inglese. È un testo che parla con forza al nostro tempo, segnato da una crescente perdita di senso e da un relativismo corrosivo. Chesterton non offre soluzioni semplici né rifugi consolatori; al contrario, pone il lettore di fronte a una sfida: quella di pensare con la propria testa, di fidarsi della ragione illuminata dalla tradizione, di riscoprire la verità nelle cose più semplici e quotidiane.
In un'epoca che esalta l'eccezione e disprezza la norma, "L'uomo comune" si propone come una vera e propria contro-narrazione, capace di restituire dignità e centralità alla persona ordinaria, alla saggezza dei padri, alla forza della continuità. E lo fa con una prosa brillante, un'ironia disarmante e una profondità che resta impressa a lungo nella mente del lettore.
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