In nome del popolo romano? Stampa E-mail

Thibaud Lanfranchi

In nome del popolo romano?
Storia del Tribunato della plebe


Salerno Editrice, pagg.213, € 21,00

 

lanfranchi innome  Thibaud Lanfranchi (docente di Storia romana presso l'Université Toulouse-Jean Jaurès) ricostruisce, in questo documentato volume edito nella collana "Piccoli saggi" della Salerno Editrice, l'origine e la storia del tribunato della plebe, una delle più importanti e longeve magistrature romane.

  La tradizione individua la nascita del tribunato "dopo la prima secessione della plebe nel 494", all'inizio della Repubblica romana, "anche se – osserva l'Autore – alcuni aspetti di questa datazione possono essere criticati. Il numero iniziale dei tribuni rimane incerto, ma probabilmente erano solo due, un numero aumentato a 10 al più tardi entro il 449: 2 nel 493, 4 nel 471 e poi 10 forse già nel 457, ma più probabilmente nel 449".
 
  Nella creazione del collegio tribunizio, fu centrale "l'elemento politico e non quello economico": "la prima secessione della plebe non portò infatti alcun cambiamento nella situazione economica della plebe e le prime misure tribunizie a vocazione economica arrivarono più tardi", dopo il 486 a. C.. Inoltre, prima del 471 a. C. i tribuni furono sprovvisti di "una propria organizzazione elettiva", poiché inizialmente erano "un elemento esterno al sistema politico romano".

  I tribuni, inoltre, furono "tra i principali protagonisti" dei primi secoli della Roma repubblicana: "Attraverso le loro azioni – spiega Lanfranchi -, specialmente i loro plebisciti, i tribuni della plebe giocarono un ruolo molto importante nella creazione delle istituzioni repubblicane classiche. Parteciparono alla disciplina dell'imperium consolare, fondarono il principio dell'assemblea delle tribù, promossero il ruolo del popolo in materia penale, attaccarono e minarono la pretesa patrizia nei confronti del monopolio religioso. Ricordiamo anche il ruolo dei tribuni nell'istituzione del principio di collegialità delle magistrature o il ruolo del plebiscito del 367 nella creazione della nobilitas. Giocarono anche un ruolo nella difesa della provocatio ad populum".

  Il corpo del tribuno "doveva essere accessibile giorno e notte. La casa del tribuno era, quindi, aperta a tutti. Questa è un'originalità, perché le nostre fonti indicano che le residenze degli altri magistrati erano, al contrario, chiuse anche durante il giorno".

  I poteri tribunizi "erano strettamente limitati alla città di Roma". Il tribuno della plebe "non poteva passare nemmeno una notte fuori Roma e poteva lasciare la città solo per la celebrazione delle Feriae Latinae. Tale informazione è confermata da Aulo Gellio, che associa il divieto di lasciare la città al dovere di assistenza".

  Tra la seconda metà del IV secolo e la fine del III l'importanza politica del collegio tribunizio crebbe progressivamente: "i tribuni – si legge ancora nel testo – rappresentavano un gruppo di dieci persone con poteri che davano loro importanti mezzi d'azione in campo politico", rivelandosi utili "per la gestione quotidiana di Roma, soprattutto perché facevano ormai spesso parte della nuova nobiltà dominante. Tale idea, già sostenuta da J. Bleicken, spiega come il diritto tribunizio di rogazione divenne per il senato un mezzo politico essenziale e come i tribuni iniziarono dunque ad assistere i magistrati nel loro lavoro legislativo".

  Il II secolo fu dominato dai Gracchi, "un punto di riferimento per la storia del tribunato e per la storia romana che ha sempre attirato tutti gli sguardi e distorto la prospettiva che si può adottare sui tribuni del II secolo".

  L'Autore ritiene che la vicenda dei Gracchi "costituisca solo una parte e non necessariamente la più rilevante" della storia del tribunato della plebe del II secolo, pur riconoscendo che i due fratelli "trasformarono completamente la città di Roma e lasciarono il proprio segno nella storia del tribunato".

  Durante la dittatura sillana "il tribunato della plebe cominciò davvero a essere trasformato in modo originale": "La scelta di Silla fu quella di cercare di rimuovere radicalmente il tribunato dalla sfera del potere, diminuendo i suoi mezzi d'azione". Tuttavia, tale opera istituzionale non "sopravvisse a lungo" al suo promotore "e la questione tribunizia non fa eccezione".

  "La scelta di Cesare e, soprattutto, di Augusto fu ben diversa", osserva Lanfranchi: il primo "se ne servì pienamente, come fece ancora meglio il suo erede, che cercò di tramutarlo in un ingranaggio del suo apparato di potere".

  Nell'età del principato, il collegio tribunizio "sembra essere stato mantenuto, ma per compiti meno nobili di quelli che aveva svolto durante la Repubblica": "L'ultimo tribuno della plebe di cui si conoscono con certezza il nome e la data è Domizio Floro, nel 218 d. C., ma si possono ancora datare con qualche approssimazione altri tribuni nel III secolo d. C.".

  La magistratura "continuò a esistere", accompagnando "di fatto tutta la storia dell'Occidente, riemergendo di tanto in tanto, come l'anatra di Goethe, nella riflessione storico-politica di epoca moderna. Il tribunato della plebe antico viene così gradualmente concepito come tribunato del popolo, cioè con un significato ampliato".