Francesco Battistini
Fronte Ucraina Dentro la guerra che minaccia l'Europa
Neri Pozza, pagg.272, € 18,00
Questo libro-reportage di Francesco Battistini (inviato del "Corriere della sera") racconta al lettore la "prima guerra europea del secolo" dalla trincea dell'Ucraina, mostrando "l'attacco dei russi, la resistenza degli ucraini, la fuga degli innocenti, i fallimenti della diplomazia, le falsificazioni delle propagande".
Nel nome Ucraina – spiega l'Autore – è contenuto il tragico destino di questa terra martoriata: "l'essere uno spazio-cuscinetto che divida i blocchi, garantisca gli equilibri strategici e non appartenga a nessuno. Nella sensibilità russa, guai a chi invade quello spazio".
"L'Ucraina – si legge ancora nel testo - è sempre stata considerata una nota a margine. Dai mongoli come dai tartari di Gengis Khan. Dai turchi come dagli austriaci e dai tedeschi. Dai polacchi che se la passavano di mano, come dalla Russia che, nel tempo, la riteneva via via una riserva di caccia, un deposito di scorie o la dispensa della cucina, dimenticando spesso d'esserne in realtà la dépendance. C'era lo zar che nel Seicento si proclamava "di tutte le Russie", proprio nel senso della trimurti venerata oggi dallo Zar Putin: la Grande madre Russia, la Bianca Bielorussia e la disprezzata, Piccola Russia ucraina. E poi c'erano Caterina II e la russificazione dei porti e delle miniere. La grande agricoltura e le acciaierie. Le collettivizzazioni sovietiche e il dissenso. Le brevi indipendenze e le purghe. Le guerre, le carestie, le deportazioni, la repressione degli ebrei e dei musulmani, delle chiese autocefale e degli uniati, i sei milioni d'ucraini morti solo nella seconda guerra mondiale, tutti i dolori che pochi altri popoli hanno sopportato con una tale intensità..."
L'identità ucraina "non s'è mai annacquata" e "ha trasformato il confine in un modo d'essere", sfruttando "a vario modo la parentela col vicino russo, mantenendo una certa ambiguità".
Quando nel 1991 crollò l'Urss, "ignoravamo che nel XX secolo la nascita di quei confini indipendenti, l'impossibile spartizione fra russi e ucraini, si sarebbe rivelata nel XXI secolo il più drammatico e urgente degli stalli".
Battistini ricorda che dalla rivolta di Maidan del 2014, per otto anni, si è combattuta nell'Ucraina orientale "una guerra dimenticata dai media e oscurata dalla diplomazia. Di posizione. Di resistenza. «Irregolare» per la NATO. «Non internazionale» per la Croce rossa. «Civile» per i media stranieri. «Patriottica» secondo Kiev. «Di liberazione» a sentire Mosca. «A bassa intensità» nei report degli istituti strategici. Comunque la si voglia definire, è stata una guerra condotta secondo i copioni dei più classici conflitti ottocenteschi. Un conflitto congelato" che ha provocato nella regione del Donbass "più di quattordicimila morti e trentamila feriti, almeno cinque milioni tra emigrati e sfollati, diecimila prigionieri, quattro milioni e mezzo di persone impoverite, offensive e controffensive, le trincee e i desaparecidos, i bambini rifugiati negli scantinati, la fame e il gelo, i campi di prigionia e le torture, le sanzioni economiche e gli embarghi, i tagli di forniture energetiche e gli assedi agli aeroporti. In Europa, cifre come non se ne leggevano dai tempi dei Balcani".
Per il Presidente russo, il Donbass rappresenta il cuscinetto "di sicurezza irrinunciabile" "nell'ipotesi di un allargamento della NATO in Ucraina", ma è pure "la regione delle grandi miniere di carbone. È il tesoro delle acciaierie e degli oligarchi legati a Mosca. È la più grande riserva in Europa di manganese e di titanio, un giacimento d'uranio, di grafite, di caolina, di metalli e di terre rare che sono alla base dell'industria del futuro, dell'hi-tech e della green economy. È la culla d'una Chiesa ortodossa fedele alla Russia, dalla quale s'è staccata la Chiesa ortodossa d'Ucraina". |