Tutto il fuoco del mondo Stampa E-mail

Paolo Alberto Valenti

Tutto il fuoco del mondo
Viaggio di un riservista in Afghanistan tra fantasmi, polvere e morte

Armando Editore, pagg.96, € 9,00

 

valenti_fuoco  IL LIBRO – Che cosa significa oggi affacciarsi sullo scenario di un conflitto diventato una cronica infermità continentale? Lasciandosi alle spalle la sua vita, i figli, la routine di una redazione televisiva europea, il giornalista Paolo Alberto Valenti ha accettato l'invito dell'Esercito Italiano ed è andato per alcuni mesi come Ufficiale Superiore della Riserva Selezionata ad Herat. Tutto il fuoco del mondo non è che un'occhiata gettata da una postazione periscopica esclusiva ad uno scenario tragicamente impervio in cui occidente e oriente collidono. Si tratta della visione appassionata di un professionista che torna ad amare il suo Paese attraverso un servizio reso alla stabilità internazionale da compiere in un luogo di morte e fantasmi.

  DAL TESTO – “La polvere, l'immensità di un paesaggio remoto e montuoso che si nasconde con le iridescenze di evaporazioni e brezze improvvise non penetrano totalmente dentro di me. Sono un po' refrattario a quest'aria che ogni giorno mi annusa e col suo alito caldo mi sussurra storie di migrazioni e splendori, di barbarie e immortalità. Né tanto meno vengo a giocare all'esploratore occidentale babbeo che in oriente è convinto di capire tutto. Io sono qui prigioniero di un sogno di democrazia che non riusciamo ad esprimere fino in fondo. Analfabeta della pace occidentale perché sono vestito di guerra e costretto ad esserlo davanti alle letali alchimie che avvelenano le strade sulle quali avanzano con coraggio i mezzi del contingente internazionale, IED (Improvised Explosive Device, cioè mine artigianali) e automobili impazzite che trasformano questo assolato e fatiscente deserto, segmentato dai monti, in una valle di morte e fantasmi. Sono ad Herat ed Herat si nasconde oltre le rovine di quello che era. Giace in attesa di un'altra vita che in tanti tenacemente vogliamo infonderle e si dedica al lavorio minuto di un popolo estenuato dai conflitti, assediato da mille difficoltà e profondamente timoroso del suo futuro. Le abitazioni dell'hinterland fra l'aerostazione e il centro città hanno cessato di sembrare soltanto posatoi per esseri umani e animali. Un urbano indifferenziato, vagamente apocalittico e privo di qualunque barlume di efficace piano regolatore, fiancheggia strade ormai asfaltate in cui il traffico è immediatamente caotico, caliginoso di polvere fine come se ovunque una fabbrica di mattoni rilasciasse le sue coltri improvvise. Sorgono ormai anche palazzi da 7 o 8 piani in città, ma il luogo si adatta perfettamente a quello che la storia gli ha concesso in destino: essere l'estrema, polverosa e mortifera periferia del regno occidentale. Un paesaggio che se fosse rimasto intatto sarebbe prossimo allo scenario marziano. Eppure qui un tempo, in epoche diverse, alla testa di eserciti superbi e invincibili, Alessandro Magno e Scià Rukh Mirza (1377-1447), quarto figlio di Tamerlano, avevano sfoggiato la magnificenza delle loro corti ingaggiando la storia che fino ad allora aveva dimenticato queste assolate contrade. La grande Moschea del Venerdì, detta anche Moschea Blu, è il fulcro dell'antico urbano di Herat. Il suo ruolo di guida della comunità la depone in uno spazio rarefatto. Come se le sue maioliche geometriche avvertissero nel profondo ogni viandante intimandogli: "Uomo, qui comincia la città di Dio" e questo mentre l'azzurro "color di lontananza" la sospinge sulle soglie del cielo. Lontani dal paradiso noi ci addentriamo in una specie di incubo planetario che sperimenta dal vivo l'ansia della globalizzazione insieme alle dimensioni di tante civiltà incompatibili, sovrapposte come faglie scandite da successive colate di magma rimaste impermeabili fra loro. Così il tempo qui è impazzito: "Time is out of joint". Cito  Shakespeare, ma al telefono il mio interlocutore anglofono che mi risponde da Kabul stenta a capire. Non voglio creare imbarazzo e non vado oltre. Probabilmente non ricorda l'Amleto. Ed anch'io cosa so in realtà dell'incontro col fantasma sugli spalti del maniero di Danimarca se non quello che in questo momento voglio evocare? Ognuno proietta se stesso in ogni libro, in ogni opera. Quando leggi un poeta leggi te stesso. Così le parole dei grandi si ritrovano nella storia di tutti e a tratti ci illuminano il cammino. Esplorare i luoghi a volte significa ritrovarli nei testi.”

  L’AUTORE – Paolo Alberto Valenti (Genova, 1959) è dal 1995 journalist/producer della televisione europea Euronews a Lione, Francia. Ha scritto nel tempo per alcune delle maggiori testate quotidiane e periodiche italiane ma anche per quotidiani elvetici e latinoamericani. Nel 2006 ha vinto il Riconoscimento Speciale della Giuria della 41a edizione dei premi Saint Vincent di giornalismo in qualità di fondatore dell'associazione di diritto francese ClubMediaItalie (già ClubMediaFrance), emanazione nell'area francofona europea della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Dal 2010 fa parte della Riserva Selezionata dell'Esercito Italiano.

   INDICE DELL’OPERA – Prefazione, di Claudio Micheloni - Introduzione de La Redazione - Il volo - Alla base - A caccia del lupo - Farah/Boston - Shakespeare in Afghanistan - Fiamme d'oriente/Fiamme d'occidente - La musica e il deserto - La rielezione - La morte - Don Chisciotte (l'invenzione del tempo non era che una nostalgia feroce) - Esercito Italiano in Afghanistan, 53 vittime in incidenti o combattimenti dal 2004 - Ali silenziose (sulle bandiere del Vittoriano), di Maria Luigia Ronco Valenti