Quaderni di storia n.76, luglio/dicembre 2012
Edizioni Dedalo, pagg.334, € 16,00
Nel n.76 di Quaderni di storia, rivista semestrale diretta dal prof. Luciano Canfora, è stato pubblicato un saggio di Giorgio Fabre intitolato Un «accordo felicemente conchiuso». Sulla base della documentazione emersa dal fondo Tacchi Venturi conservato presso l'Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI), l'archivio della Compagnia di Gesù, l’Autore ricostruisce la storia, il contenuto e le conseguenze dell’accordo raggiunto il 16 agosto 1938 tra Mussolini e Padre Tacchi Venturi “al fine di ristabilire la buona armonia tra la Santa Sede e il governo italiano perturbata nelle ultime settimane”. Fabre spiega che “si trattava dell'effetto di un conflitto tra Mussolini e la Santa Sede e il Papa in particolare, condotto con colpi feroci e di cui questo era un punto intermedio, ma non certo definitivo, di pacificazione. E non era chiaro che, questione più seria, l'«accordo» tra Mussolini e il Papa consisteva in uno scambio preciso e formale tra Chiesa e fascismo in base al quale quest'ultimo avrebbe rispettato l'Azione cattolica, e la Chiesa sarebbe stata zitta sul razzismo e gli ebrei. La Chiesa avrebbe accettato il silenzio, ricevendo in cambio la salvaguardia della sua organizzazione laica, la pupilla di Pio XI”. Luca Fezzi esamina le suggestioni ‘elitiste’ presenti nell’opera di Matthias Gelzer, l’autore della fondamentale monografia Die Nobilität der römischen Republik. L’Autore individua “in Grandezza e decadenza di Roma di Guglielmo Ferrero (1902-1907), opera non accademica ma di fortuna mondiale (di pubblico, di critica e, in ambito culturale tedesco, anche accademica), un 'primo tramite' tra il giovane Gelzer e il pensiero di Gaetano Mosca, andando a confermare le interpretazioni che individuano, alla base del Die Nobilität, una forte suggestione 'elitista'”. In sintesi, “Mosca influenza fortemente Ferrero, il cui bestseller, attaccato in Italia da De Sanctis, viene letto e citato dall'accademia di lingua tedesca, e in particolare da due 'antimommseniani': l'allora più autorevole Meyer (1910) e il giovane Gelzer (1912), che ha accesso all'originale italiano e forse, già a partire dal 1906, anche alle versioni francese e tedesca, ancora più chiare sul discorso della clientela”. Sulla figura dello storico sovietico Aleksandr Dmitrievich Dmitriev (1888-1962), “eclettico studioso delle lotte economiche e sociali all'interno dell'Impero romano”, si concentra l’analisi di Ettore Bianchi. Poiché Dmitriev “raggiunse un certo prestigio nella scomparsa URSS e in particolare durante la vituperata epoca staliniana, il suo contributo all'indagine storica, per una reazione solo in parte comprensibile, è stato ampiamente svilito, sia in Russia, sia in Occidente, ed è oggi quasi dimenticato, perfino tra gli addetti ai lavori”. Secondo Bianchi, lo studioso sovietico era stato “contagiato da una sorta di "nazional-bolscevismo". Con tale termine si definiva l'atteggiamento di coloro che esprimevano benevola comprensione, non adesione entusiastica e incondizionata, verso l'esperimento di "distruzione creativa" inaugurato da Lenin, nella convinzione che esso, a dispetto dei metodi spicci, della prosopopea cosmopolitica e delle utopie egualitarie, giovasse alla salvezza sul lungo periodo dello Stato russo, minacciato dalla sconfitta nella Guerra Mondiale. All'estero, nella diaspora di matrice "kadetta" o menscevica, analoghi sciovinismi caratterizzarono il settimanale Smena Več (lett. "lo Scambio di Posto"), fondato dal giornalista Nikolaj V. Ustrjalov (1890-1937). Dalla rivista nacquero gli Smenovečotzy, "i voltagabbana": per costoro, i Bolscevichi erano come i ravanelli, rossi fuori ma bianchi dentro; quindi era giusto tentare di riconciliarsi con essi, in nome del comune amor di patria”. Nascita di un’icona politica: il piccone del Duce è il titolo del saggio di Paola S. Salvatori. L’Autrice vi approfondisce la figura di Giacomo Boni, nato nel 1859, “uno dei più importanti protagonisti dell’archeologia italiana: direttore degli scavi nel Foro romano dal 1898 al 1911 e dal 1907 anche di quelli del Palatino, a lui si devono tra l'altro alcuni tra i primi esperimenti di innovazione nelle tradizionali tecniche d'indagine (come, p.es., il metodo stratigrafico e la fotografia aerea)”. Spiega l’Autrice: “Boni - ormai sessantenne - riconobbe nel neonato regime fascista un sistema politico e culturale nel quale si potesse realizzare la sacralizzazione della Roma antica. Egli non ebbe molto tempo per intrecciare la sua vita di studioso con il nuovo corso che l'Italia aveva intrapreso dopo l'ascesa al potere di Benito Mussolini: morì infatti il 10 luglio del 1925, ma quei pochi anni gli furono sufficienti per ideare una serie di liturgie (parecchie delle quali furono poi effettivamente realizzate negli anni successivi) che celebrassero, col fascismo, il filo ininterrotto e mistico che legava la storia presente a quella più remota. Pochi mesi dopo la Marcia su Roma, fu proprio Boni a essere incaricato dal ministro delle Finanze Alberto De Stefani di definire il simbolo del fascio littorio da imprimere sulle nuove monete da due lire la cui emissione era stata autorizzata il 21 gennaio del 1923 con Regio Decreto Legge. Anche la ricostruzione di quel simbolo giunse dopo un attento studio della flora locale al fine di individuare l'autentico genere di betulla usato dai romani per le verghe”.
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