Nuova Storia Contemporanea, n.4/2012 Stampa E-mail

Nuova Storia Contemporanea, n.4 luglio/agosto 2012

Le Lettere, pagg.168, € 11,50

 

nsc4_2012  L’articolo di Luciano Pellicani (professore ordinario di Sociologia politica presso l'Università "Luiss-Guido Carli" di Roma), intitolato Wilson e la paura delle nazioni, apre il n.4 (luglio/agosto 2012) di Nuova Storia Contemporanea. Vi si legge che “la pace di Versailles non fu né cartaginese, né generosa. Fu una pace punitiva che, vissuta dal popolo tedesco come un'ingiusta e brutale imposizione, alimentò il risentimento e la volontà di rivincita: due cose che la sfrenata demagogia di Hitler avrebbe portato al parossismo, con le conseguenze ben note”. “Così – aggiunge l’Autore - le idee di Wilson subirono una clamorosa sconfitta. La quale, tuttavia, non fu totale, se è vero - come è vero - che la seconda metà del XX secolo è stata dominata dagli sforzi per uscire dal paradigma hobbesiano e per istituzionalizzare un nuovo paradigma: il paradigma che possiamo senz'altro definire "wilsoniano". Il risultato è stato il passaggio dall'anarchia internazionale all'attuale società internazionale, che "qualifica le relazioni fra gli Stati come relazioni tra membri di una società vincolata da norme condivise e legata da istituzioni comuni" e che, pertanto, "esclude la concezione della politica mondiale come semplice arena dello scontro o come stato di guerra”. Un risultato non di poco conto, se si tiene presente il punto di partenza: la società anarchica dominata dalla paura e, per ciò stesso, simile a un vulcano pronto a esplodere da un momento all'altro”.
  Spencer M. Di Scala
, docente di Storia presso la University of Massachusetts di Boston, prende in esame le opere generali degli storici americani sul Risorgimento italiano “per mostrare come essi lo hanno visto”. Dai primi studi della fine del secolo XIX, quasi coevi all'epoca risorgimentale, fino alle ricerche più recenti, emerge che la storiografia americana ha sempre collegato il Risorgimento italiano al concetto di rivoluzione.
  Alle forze armate nella “guerra di liberazione” è dedicato il saggio di Paolo Nello (docente di Storia Contemporanea presso l'Università degli Studi di Pisa), il quale scrive: “Le sconfitte evidentemente si pagano sempre, e spesso si pagano oltre il dovuto. Così accadde a noi, nonostante la Guerra di Liberazione e la "cobelligeranza". Ciò nulla toglie all'altissimo valore delle motivazioni e dell'agire di chi si è battuto fedelmente e con coraggio per la dignità, l'onore, la libertà dell'Italia in uno dei momenti più bui della sua storia. Effettivamente contribuendo, in tal modo, e in misura decisiva, alla rinascita della Patria, come preconizzato e auspicato dall'ammiraglio De Courten quando ricordò a Bergamini, l'8 settembre 1943, il dovere del sacrificio estremo della consegna della flotta agli Alleati, in ottemperanza alle durissime clausole dell’armistizio e in assoluta obbedienza alla volontà del Sovrano”.
  Cardarelli, Aniante, Malaparte e “il mito della sorella latina”
è il titolo dell’intervento di Emmanuel Mattiato (Maitre de Conferences presso l'Université de Savoie), volto a ricostruire la visione (negativa) che gli autori citati avevano della Francia.
  Dei rapporti “tormentati” tra comunisti italiani e sloveni durante la Seconda guerra mondiale si occupa Leonardo Raito (docente di Storia Contemporanea nelle Università di Ferrara e di Padova). L’Autore cerca di “delineare, attraverso le carte slovene, la missione del delegato sloveno Anton Vratuša presso il Clnai, facendo emergere le severe critiche che il rappresentante del Pcs rivolgeva all'azione dei compagni italiani. Le differenze di fondo tra i due sistemi resistenziali, spiegano concretamente le tensioni di fondo che caratterizzarono l'esplosiva situazione di Trieste e delle terre italiane di confine”.
  Il fascicolo si chiude con un saggio dello storico e diplomatico Alberto Indelicato sulla morte di Walther Rathenau, il ministro degli Affari esteri della repubblica di Weimar ucciso in una strada di Berlino il 24 giugno 1922. “Anche la sua morte, come la sua vita – osserva Indelicato - porta il segno della contraddizione e lascia l'impressione di un incomprensibile equivoco dell'ambiente in cui operò, dei suoi avversari e anche dei suoi assassini. Nato nel 1867 a Berlino, era figlio di quell’Emil Rathenau che, partendo quasi dal nulla, aveva dato un enorme impulso alla modernizzazione della Germania di fine Ottocento, creando una possente industria, organizzando razionalmente produzione e distribuzione e aprendo nuove vie alla cooperazione tra sistema bancario e sistema industriale”.