Nuova Storia Contemporanea, n.2 marzo/aprile 2012
Le Lettere, pagg.168, Euro 11,50
Il millenarismo politico è la versione radicale del paradigma profetico e ha una straordinaria capacità di riemergere nei momenti di profonda crisi. Luciano Pellicani, professore ordinario di Sociologia politica presso l'Università "Luiss-Guido Carli" di Roma, approfondisce questo tema, nell’articolo che apre il n.2 di Nuova Storia Contemporanea, analizzandone i seguenti aspetti: la rivoluzione giacobina e l'ispirazione antimoderna della dittatura giacobina; il filo rosso che unisce giacobinismo e comunismo; la rivoluzione maoista e il mito dell'Uomo Nuovo. Secondo l’Autore, “il comunismo altro non è stato che lo sviluppo rigorosamente consequenziale del programma pantoclastico del millenarismo giacobino, descritto da Thomas Carlyle come "la fiera e disperata lotta dell'Uomo contro la sua Condizione e il suo Ambiente", animata dal satanico desiderio di distruggere "tutto ciò che era distruttibile" per annientare la "Bugiarda Esistenza divenuta insopportabile". Il che, poi, significa che Dostoevskij aveva colto nel segno quando così si esprimeva: il socialismo rivoluzionario "investe non soltanto la questione operaia o del cosiddetto quarto stato, ma soprattutto quella dell'ateismo, cioè il problema della realizzazione dell'ateismo contemporaneo, il problema della torre di Babele che si costruisce appunto senza Dio, non per raggiungere dalla terra il cielo, ma per abbassare il cielo fino alla terra"”. Nel saggio intitolato Spettrografia delle Brigate Rosse, Matteo Re (professore di Storia e Cultura dell'Italia Contemporanea presso l'Universidad "Rey Juan Carlos" di Madrid) prende in esame l’evoluzione dei comunicati che i brigatisti scrissero durante gli anni Settanta, cercando di spiegare “come si siano prodotte all’interno di questi scritti, con il passare del tempo, numerose variazioni nella loro redazione, nell’estensione, nel linguaggio, nell’ideologia interna e nella struttura”. L’Autore analizza anche “le caratteristiche principali del linguaggio utilizzato e in che modo i brigatisti hanno interpretato la situazione socio-politica dell’Italia di quegli anni”. Al “difficile” rapporto tra Julius Evola e Mircea Eliade è dedicato l’intervento di Liviu Bordaş (docente all'Università di Bucarest e studioso di cultura indiana oltre che dell'influenza della filosofia sulla cultura), nel quale si legge: “Delle cinque pagine di diario in cui fa menzione di Julius Evola, Eliade scelse di inserire nel suo Fragments d'un journal (Paris, 1973, 1981, 1991) solo l'ultima. L'annotazione è datata luglio 1974, dopo aver appreso della morte dello scrittore italiano, ma anche questa non fu pubblicata integralmente. La più lunga e probabilmente la più interessante di tutte, ripercorre la storia del suo rapporto con Evola. Eliade ricorda la prima lettera ricevuta da lui dopo la guerra e la visita a casa sua a Roma, che credeva fosse avvenuta nell'agosto del 1949. La data di questa prima visita era già stata messa in discussione su varie basi, ma il rifiuto più categorico e decisivo della veridicità di questa informazione viene dalla prima menzione riguardante Evola nel diario del dopoguerra di Eliade. Il 5 ottobre 1949 egli scrive: "Mi ha scritto J. Evola. Ha avuto il mio indirizzo da René Guénon... come diavolo sarà accaduto?". Da ciò risulta evidente che non poteva aver incontrato lo scrittore italiano nell'estate del 1949”. Michelle Millozzi, docente di Storia del Risorgimento presso l'Università di Macerata, si occupa delle elezioni plebiscitarie durante il Ventennio fascista. “La legge elettorale del 1928 – spiega l’Autore -, nella sua prima applicazione e, cioè, relativamente alla consultazione del 1929, è […] adeguatamente strumentale alle esigenze politico-istituzionali del fascismo. Per un verso, infatti, consente alla dittatura di ottenere il riconoscimento formale della situazione politica esistente di fatto, ossia, l'avallo legale del Paese all'instaurato regime autoritario. Per un altro, rende possibile, attraverso la designazione dei candidati fatta dal Gran Consiglio, una prima, drastica "epurazione" dalle file parlamentari di elementi di estrazione politica non fascista; questa operazione, mirando a una prima fascistizzazione della Camera elettiva, condotta parallelamente ad altre iniziative in tutti i settori della vita pubblica e civile nazionale, costituisce, sul piano istituzionale parlamentare, il primo avvio alla costruzione dello stato totalitario”.
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