Nuova Storia Contemporanea, n.6/2011 Stampa E-mail

Nuova Storia Contemporanea, n.6 novembre/dicembre 2011

Le Lettere, pagg.168, Euro 11,50

 

nsc6_2011  La debolezza del sistema economico italiano non è frutto esclusivamente di fattori congiunturali e imprevedibili. Essa deriva da cause più complesse e lontane collegate alle vicende politiche e storiche del paese. Un peso determinante nel declino italiano ha assunto l'assenza di governi stabili e autorevoli a sua volta risultato di palesi deficienze dell'assetto istituzionale. Questa è, in sintesi, la tesi sostenuta da Antonio Ciarrapico (diplomatico a Stoccolma, Brasilia e Madrid nonché scrittore e saggista) nell’articolo su Le origini del declino italiano, che apre l’ultimo numero del 2011 della rivista Nuova storia contemporanea.
  Francia e Italia, retorica e realtà è il titolo dell’intervento di Maurizio Serra (docente di Relazioni Internazionali presso la "Luiss-Guido Carli"). Vi si parla del  peso delle vicende storiche nell'evoluzione dei rapporti fra i due paesi, la cui volubilità assume spesso le tinte di una schermaglia amorosa, e della comune vocazione europea di italiani e francesi e del loro convergente interesse a perseguire insieme il cammino dell'integrazione. “Francesi e italiani – spiega Serra - non hanno solo una comune vocazione europea, ma un interesse convergente a perseguire insieme il cammino dell'integrazione, come avvenne nei momenti più riusciti della loro collaborazione bilaterale e comunitaria. Mi piacerebbe che gli intellettuali dei due Paesi potessero prendere, o riprendere, il posto che spetta loro in questa gara virtuosa: gli italiani ci guadagnerebbero in sobrietà, ordine, efficacia; i francesi ci perderebbero - forse - un po' di quel romanticismo politico, che spinge ancora non pochi di loro a preferire aver torto con Sartre, piuttosto che ragione con Aron. Esiste una retorica dei rapporti fra i due Stati, i due popoli, le due culture: quella delle "sorelle latine" ha già causato abbastanza guai. Meglio scegliere la realtà, che difficilmente trae in inganno, anche quando sembra meno accattivante”.
  Loreto Di Nucci, docente di Storia contemporanea e Storia dei sistemi politici presso l'Università degli Studi di Perugia, si occupa della figura di Garibaldi (L’eroe fondatore della nazione): “Eroe fondatore della nazione, Garibaldi è stato una figura storica proteiforme, ovvero un personaggio che, proprio come il dio Proteo della mitologia greca, era capace di assumere aspetti sempre nuovi e diversi mediante metamorfosi. Garibaldi era difficile da incasellare, ed è proprio a causa di ciò che la sua eredità è stata, fin dall'indomani della morte, un'eredità contesa. Innumerevoli sono stati infatti nel Novecento i partiti e movimenti politici che si sono richiamati al garibaldinisrno, spesso senza alcuna parentela politico-ideologica con il nizzardo o appropriandosi illegittimamente della sua storia o di parti di essa. Sono comunque molti i lasciti del garibaldinismo, e fra questi si possono sommariamente richiamare i  seguenti: il volontarismo combattentista, che avrà varie declinazioni nel XX secolo; il mito del capo politico-militare, che vive in comunione fisica e spirituale con i suoi uomini; il rifiuto, in buona sostanza, della democrazia parlamentare, delle sue regole, delle sue procedure, dei suoi inevitabili accomodamenti; e infine il ricorso alla pratica dell'azione diretta da parte di una minoranza eroica. Una minoranza che, in talune interpretazioni della storia nazionale, riesce talvolta a trascinare dietro di  sé maggioranze amorfe, riluttanti, attendiste e a dimostrare che un'altra Italia esiste ed è l'Italia migliore. È l'Italia che in alcuni frangenti sembra essere in grado di imprimere una svolta al corso della storia del Paese, ma poi soccombe, sconfitta dall'Italia di sempre, l'Italia opportunista, vile e trasformista”.
  A Henry Kissinger e alla sua concezione del “containment” negli anni Cinquanta è dedicato l’articolo di Giuliana Iurlano (Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento). Scrive l’Autrice: “Gli anni Cinquanta […] hanno […] costituito una sorta di lungo periodo di "apprendistato" per il futuro segretario di Stato; in quel decennio, infatti, la visione strategica kissingeriana si era andata precisando e, con essa, il ruolo fondamentale della diplomazia. Come Hans Morgenthau prima di lui, anche Henry Kissinger si era portato con sé, negli Stati Uniti, buona parte della tradizione europea di relazioni internazionali, saldandola strettamente con l'American creed. Il risultato era stato un realismo pragmatico, certamente prudente, talvolta anticonformista, un realismo che rinvigoriva i concetti di "ragion di Stato" e di "interesse nazionale", apparentemente obsoleti dopo la ventata di idealismo wilsoniano post-bellico. Il loro recupero avveniva, dunque, nel contesto del Cold War bipolarism, in una situazione per certi aspetti "semplificata", ma non per questo meno complessa, proprio perché fondamentalmente "anarchica". Di fronte al continuo perseguimento dei propri interessi egoistici, anche le due superpotenze - alla stregua degli Stati o degli imperi nazionali ottocenteschi - erano costrette a venire a patti: la diplomazia faceva intravedere l'unica strada percorribile nell'era nucleare, quella della ricerca di utili compromessi per evitare un conflitto che avrebbe distrutto l'umanità. È, dunque, in quel decennio cruciale che Kissinger mette a punto quell'insieme di idee e di riflessioni che sosterranno, negli anni successivi, la sua visione del mondo. La pace - come più volte avrebbe avuto l'occasione di ribadire - non era affatto una "condizione statica", perseguibile attraverso una qualsiasi saggia politica; essa, invece, doveva essere costruita nel lungo termine e, soprattutto, fondata su una concezione strategica realistica, che recuperasse il significato profondo della diplomazia politica e che cercasse i possibili punti d'incontro con  l'avversario, piuttosto che quelli di "scontro"”.
  Nella rubrica Documenti&Testimonianze, troviamo poi un interessante saggio, inedito in italiano, di Mario Luciolli dal titolo Mussolini, uomo di sinistra. Esso fu scritto negli anni Ottanta per la «Reuue des deux mondes». Luciolli (1910-1988) è stato uno dei migliori e più importanti diplomatici italiani. Uomo di sentimenti e di formazione liberale ricoprì incarichi prestigiosi e fu ambasciatore a Santiago dal 1956 al 1961, ad Ankara dal 1961 al 1964 e a Bonn dal 1964 al 1975. Fu anche uno scrittore fine e un acuto analista delle vicende storiche, come testimoniano i due volumi Mussolini e l'Europa. La politica estera fascista, apparso originariamente nel 1945 con lo pseudonimo Mario Donasti, e Palazzo Chigi anni roventi. Ricordi di vita diplomatica italiana dal 1933 al 1948, entrambi pubblicati dalla casa editrice Le Lettere in due collane collegate alla rivista Nuova storia contemporanea.