Protocollo Iran (Limes n.1/2012) Stampa E-mail

Protocollo Iran (Limes n.1/2012)

Gruppo Editoriale L’Espresso, pagg.318, Euro 14,00

 

limes_1-2012  Il primo numero del 2012 di Limes, la rivista di Geopolitica diretta da Lucio Caracciolo, è dedicato ai preparativi bellici contro la Repubblica islamica dell’Iran, alla destabilizzazione della Siria e alla cosiddetta “primavera araba”.
  L’editoriale che apre il volume è intitolato Operazione fine di mondo. Vi si legge che “Israele, Stati Uniti (e Gran Bretagna), ambiguamente affiancati dalle petromonarchie arabe, hanno da anni ingaggiato con l'Iran un conflitto quasi invisibile quanto feroce, a base di attentati, ciberattacchi, infiltrazioni, finte e controfinte. Il ring è planetario, perché globali sono le poste in gioco. In questione sono infatti i flussi energetici dal Golfo Persico per l'Occidente e per l'Asia, il controllo delle armi atomiche, il dominio sulle rotte strategiche tra Oceano Pacifico, Indiano e Mediterraneo, gli equilibri di potenza nel Grande Medio Oriente Mondiale: quel campo d'instabilità centrato sull'Iran che si estende tra Suez e Hindu Kush, tra Corno d'Africa e Mare Arabico, le cui fibrillazioni - a differenza della troppo reclamizzata primavera araba» - si riverberano ovunque […]. E in ultima analisi contribuiranno a definire la partita strategica per eccellenza, che oppone Stati Uniti e Cina per il rango di superpotenza principale del XXI secolo”.
  John C. Hulsman, membro del Council on Foreign Relations, ritiene che un attacco ai siti nucleari iraniani avrebbe per gli Stati Uniti costi politici, economici e strategici enormi. A decidere però non sarà Washington, ma Tel Aviv.
  Di parere opposto è invece Matthew Kroenig, professore di Scienze del governo presso la Georgetown University di Washington, D.C. e fellow per la proliferazione nucleare del Council on Foreign Relations. Nell’intervista concessa a Dario Fabbri (giornalista del quotidiano Il riformista), egli dichiara: “se Washington non colpirà nell'immediato futuro, presto si troverà a fronteggiare una situazione ben più pericolosa dell'attuale. L'effetto destabilizzante che un Iran atomico avrebbe sull'intero Medio Oriente è impossibile da sottovalutare: esaltati dalla nuova arma, gli ayatollah manifesterebbero un'intollerabile assertività nei confronti dei nostri alleati ed è probabile che nella regione s'inneschi una frenetica corsa alla Bomba. La resa dei conti diverrebbe a quel punto inevitabile, ma assumerebbe la forma del conflitto nucleare. Uno scenario funesto, nettamente peggiore di uno strike preventivo, limitato e convenzionale. Scegliere la guerra non è mai la migliore delle soluzioni, ma un attacco americano libererebbe la comunità internazionale da una minaccia insidiosa e, nel lungo periodo, contribuirebbe a consolidare la posizione strategica degli Stati Uniti. Senza considerare che, in termini di costi, "contenere" un paese dotato dell'atomica è di gran lunga più dispendioso di un'operazione militare dalla durata di pochi giorni”. 
  Iran, la soluzione è il contenimento è il titolo dell’intervento di Roberto Toscano (diplomatico e scrittore). Spiega l’Autore: “non sarebbe prova sia di realismo politico che di un minimo di etica della responsabilità soffermarsi, prima di passare a un'azione militare, sulle prevedibili conseguenze di un attacco all'Iran? Pensiamo non certo a una risposta militare convenzionale (anche se i paesi del Golfo e le basi americane nella regione risulterebbero facilmente esposti a una rappresaglia di Teheran), ma a una risposta asimmetrica, in particolare a un attacco di Hizbullăh a Israele". 
  Sui piani bellici israeliani contro l’Iran si sofferma Amir Rapaport, direttore di Israel Defense Magazine. Egli spiega che, mentre la guerra a bassa intensità è già in corso, l’Aeronautica con la stella di David si sta addestrando da anni (anche in Italia…) all’attacco contro i siti iraniani: “L'obiettivo principale dell'addestramento svolto per questo scenario dall'Aeronautica israeliana è di raggiungere la capacità di attacco contro obiettivi a oltre mille chilometri di distanza”.
  Nell’articolo firmato da Fëdor Luk’janov, direttore di Russia in Global Affairs, si legge che “nonostante l'attivismo e le manovre del Cremlino l'èra della forte presenza russa nella regione sembra avviata a concludersi. Il ruolo relativamente importante di Mosca nello spazio mediorientale si basava sul lascito dell'epoca sovietica, ovvero sulla relazione con quei regimi che, uno ad uno, stanno scomparendo dalla scena internazionale. I loro successori non avranno bisogno della Russia, o addirittura la vedranno come un'ostile sostenitrice degli antichi tiranni. Per questo, Mosca sta gradualmente spostando la sua attenzione sul vicino spazio euroasiatico. Ciò non implica che uscirà improvvisamente dal Medio Oriente; piuttosto, lo lascerà un passo alla volta”.
  Il giornalista Jacques Charmelot prende in esame la sconfitta subita dagli Usa in Iraq, osservando che “gli americani hanno lasciato un paese devastato dall'invasione e dal conflitto che ne è seguito”. “L'operazione che ha condotto alla caduta di Saddam Hussein – aggiunge l’Autore - si è rivelata estremamente costosa, sia in termini di vite umane che finanziari. Migliaia di soldati americani sono stati uccisi o feriti. Decine di migliaia di civili iracheni, o addirittura centinaia di migliaia secondo stime più pessimiste, hanno perduto la vita e due milioni di loro hanno scelto l'esilio nei paesi vicini, specie Siria e Giordania. Il costo della guerra è astronomico: raggiunge per il momento la somma di 800 miliardi di dollari, pagati dai contribuenti americani. Alcuni esperti hanno effettuato proiezioni circa i costi accessori e le cifre provocano le vertigini: la guerra in Iraq dovrebbe sottrarre all'economia americana nei prossimi anni oltre tremila miliardi di dollari”.