Il Risorgimento disonorato Stampa E-mail

Lorenzo Del Boca

Il Risorgimento disonorato

Utet Libreria, pagg.148, Euro 18,00

 

delboca_risorgimento_disonorato  IL LIBRO – Quanti ladri? E quanti truffatori? È nata male l'Italia... non soltanto per il modo affrettato di mettere insieme regioni e tradizioni spesso troppo distanti fra loro ma perché, confusi con patrioti che, sinceramente, credevano di rischiare la vita per un ideale di patria, si è mescolata una genìa di arraffatori la cui unica preoccupazione era arricchirsi. In fretta. Rubavano nel Piemonte e rubavano nelle regioni meridionali appena conquistate. Rubavano nei mesi della repubblica Romana e rubavano agli albori dell'unità d'Italia. Ippolito Nievo cui era stata affidata la cassa dei Mille "perché unico onesto" tenne bilanci rigorosi che era disposto a portare in parlamento. Finì in fondo al mare, vittima, probabilmente, di un attentato. Questioni di soldi attraversano l'epoca gloriosa del Risorgimento che la tradizione storica ancora presenta come un'epoca disinteressata, animata soltanto dagli immortali ideali di Patria. Il Risorgimento venne giustificato dal desiderio di rendere l'Italia indipendente dalla tirannide degli austriaci e dai tanti "tirannelli austriacanti" a cominciare dal Borbone "re bomba" che, nel 1848 non era andato troppo per il sottile per domare le insurrezioni nel regno delle Due Sicilie. Il pulpito di dove veniva la predica era affollato da Lamarmora che rase al suolo due quartieri di Genova; da Bixio che, a Bronte, fece fucilare anche lo scemo del villaggio; e da Cialdini che riuscì a sparare 500 colpi di mortaio al giorno per conquistare Gaeta, affollata da borbonici che non avevano possibilità di difendersi e che, in teoria, lui era accorso a "liberare". C'è una storia che si impara a scuola ma la storia è un'altra.

  DAL TESTO – “Il banco di Sicilia, alla fine del 1859, si era rivolto agli architetti perché era necessario rinforzare il pavimento che, nonostante la blindatura, non era sufficiente per sostenere il peso dell'oro depositato. Lingotti a tonnellate. Con i nuovi governanti quella spesa non fu necessaria.
  “Giuseppe Garibaldi, appena entrato nella città che aveva occupato, si fece consegnare 2.178.818 dei 5 milioni che erano custoditi. Lasciò un pezzo di carta: «per ricevuta di spese di guerra». Era inteso che il nuovo stato avrebbe dovuto restituire il prestito e rimettere i conti in ordine. Quel foglietto autografo rimase negli archivi dell'istituto: per qualche decennio, nella contabilità alla voce "avere" e poi, quando gli amministratori si resero conto che non sarebbe tornato a casa nulla, destinato nei fascicoli "storici", a testimonianza del contributo speso per l'unità d'Italia.
  “Anche gli altri tre milioni (scarsi) vennero prelevati con la stessa disinvoltura e identiche giustificazioni anche se, di queste cifre, non esistono le registrazioni di chi si impossessò del denaro e quanto ne agguantò. Troppe mani trafficarono nei bilanci delle tesorerie. Ippolito Nievo aveva un'idea delle spese che vennero sostenute ma finì in fondo al mare con la documentazione che le certificava.”

  L’AUTORE – Lorenzo Del Boca, laurea in filosofia, giornalista e saggista, presidente della Federazione nazionale della Stampa (dal 1996 al 2001) e presidente dell'ordine dei giornalisti (dal 2001 al 2011). Il suo interesse di storico si è incentrato sul periodo del Risorgimento e delle guerre mondiali che ha affrontato con irriverenza e, spesso, in polemica, con la vulgata tradizionale, agiografica e retorica. Per Utet ha pubblicato Il segreto di Camilla. Un processo per spionaggio davanti al tribunale speciale fascista (2005) e Grande guerra, piccoli generali. Una cronaca feroce della Prima guerra mondiale (2007).

  INDICE DELL’OPERA - Il pugnale dei patrioti - Capitolo primo. Callimaco Zambianchi: l'ammazza-preti (La cassa con i soldi, i portasigari e un paio di pantaloni "molto lisi") - Capitolo secondo. L'assassino Vincenzo Cibolla e i poliziotti che lo proteggevano («Il bottino delle rapine andava diviso con alcuni funzionari della polizia») - Capitolo terzo. L'agente segreto Filippo Curletti "incaricato di importantissime missioni" (Il linciaggio del colonnello Anviti e l'assassinio del generale Pimodan) - Mani sporche - Capitolo quarto. L'apostolo Giuseppe Mazzini e la tangente "tricolore" sulle ferrovie (Le mazzette distribuite ai deputati e la commissione d'inchiesta "insabbiata") - Capitolo quinto. Il poeta-soldato Ippolito Nievo cassiere dei Mille perché "unico onesto" (Morte annunciata di un garibaldino sul bastimento evaporato nel mare) - Capitolo sesto. L'oro di Napoli nelle tasche dei lestofanti (La camorra, l'"incapacissimo" e tangenti sui restauri del Parlamento) - «Guai a vinti!» - Capitolo settimo. Alfonso La Marmora: generale "bombardatore" (Una pioggia di fuoco su Genova: la città tramortita dalle cannonate) - Capitolo ottavo. Nino Bixio a Bronte con il pugno di ferro (L'orologio in mano e la pistola accanto per condannare a morte anche uno scemo) - Capitolo nono. Il generale Enrico Cialdini che non faceva economia di bombe (I 101 giorni di assedio sotto una tempesta di fuoco) – Bibliografia - Indice dei nomi