La guerra di Libia (Quaderno speciale di Limes)
Gruppo editoriale L’Espresso, pagg.247, Euro 12,00
Limes, la rivista italiana di Geopolitica diretta da Lucio Caracciolo, dedica un quaderno speciale all’intervento militare contro la Libia, la prima crisi mondiale gestita in ambito G20. “La crisi di Libia – scrive Alessandro Politi (Partner Security World Advisor) nell’articolo intitolato Bengasi e il mondo a est di Paperino – è una crisi importante, che va affrontata e va risolta, ma che rischia d’essere come la battaglia di Lepanto: inevitabile per chi è in zona, opzionabile per chi è fuori area e profittabile per chi è assente (nel 1571 erano gli inglesi e gli olandesi). In altri termini la coppia franco-inglese rischia di «travailler pour le roi de Prusse», cioè di fare tutto il lavoro duro per abbattere il regime di Gheddafi per poi trovarsi a corto d’influenza politica rispetto agli Usa e soprattutto di soldi rispetto ai paesi che hanno ancora un surplus di bilancio e/o dei fondi sovrani, cioè Cina, Russia e Brasile”. Germano Dottori, cultore di Studi strategici alla Luiss-Guido Carli di Roma, analizza la posizione del governo italiano, colto di sorpresa dall’interventismo della Francia e dal relativo disimpegno degli Usa. “Dallo sbandamento iniziale – spiega l’Autore -, l’esecutivo italiano non è più riuscito veramente a riprendersi. Sono mancate al nostro paese tanto la disinvoltura dimostrata dall’Eliseo nel capovolgere nello spazio di pochi giorni l’architettura di una strategia perseguita per anni, quanto la forza di rimanere ancorato alle posizioni sostenute in precedenza. Complici una certa fragilità interna, il timore di trovarsi dal lato dei perdenti e i successi della brillante campagna mediatica condotta dagli insorti, l’Italia ha fluttuato in dipendenza degli sviluppi sul campo, mantenendo una postura tipicamente reattiva e rinunciando al tentativo di condizionare gli eventi secondo le proprie aspirazioni”. Chi sono i ribelli di Bengasi? è il titolo dell’analisi di Claudia Gazzini (ricercatrice presso l’Istituto universitario europeo a Fiesole). I ribelli libici – si legge nel testo – “sono un gruppo eterogeneo composto da professionisti, impiegati, commercianti e studenti. In breve, la società civile libica esasperata da oltre quarant’anni di governo autoritario. Vi sono appartenenti alla vecchia guardia, che per anni sono sopravvissuti collaborando con il regime e accettando le follie del colonnello in cambio di lavoro, denaro e sicurezza. Vi sono i giovani internettari che, ispirati dai loro coetanei in Tunisia ed Egitto, hanno filmato coi telefoni la repressione governativa della rivolta. Vi sono anche le seconde generazioni dei libici in esilio, che hanno diffuso in Occidente via Internet le notizie provenienti dalle zone insorte per attirare l’opinione pubblica internazionale. Vi sono anche militari male addestrati e poco armati (non le milizie scelte al servizio del colonnello) che hanno seguito la scelta dei loro capi di schierarsi contro Tripoli. La maggioranza di questo gruppo eterogeneo è laica, anche se non si può escludere la presenza di musulmani integralisti da sempre avversi all’interpretazione molto personale dell’islam che si legge nel Libro Verde, il ben noto testo che racchiude la visione politica di Gheddafi”. Secondo il Gen. Carlo Jean (docente all’Università degli Studi Guglielmo Marconi e presidente del Centro studi di geopolitica economica), la “partecipazione alla coalizione ha permesso all’Italia di calmare i bollenti ardori del presidente francese. A parte l’irritazione generale suscitata dal suo comportamento e il rischio che il suo attivismo prolungasse conflitto e instabilità in Libia, la presenza dell’Italia nella coalizione ha permesso al nostro paese di giocare un ruolo chiave per attribuire le responsabilità non solo operative, ma anche politico-strategiche alla Nato”. In tal modo, l’Autore è convinto che “l’Italia abbia anche protetto la Francia e l’Europa dalle intemperanze del presidente Sarkozy, oltre a garantirsi la protezione dei nostri futuri interessi in Libia, qualunque sia l’esito finale del conflitto”. Karim Mezran, direttore del Centro studi americani di Roma, ha raccolto in un Glossarietto delle bufale belliche alcuni esempi di informazioni distorte fornite dalla comunicazione di massa in ordine al conflitto libico. Dalle imprecisioni linguistiche alle manipolazioni di Aljazeera, emerge un universo parallelo che altera le analisi e precostituisce i giudizi. Le manipolazioni operate da Aljazeera, Alarabiya e Bbc sono oggetto anche dell’analisi del giornalista Cristiano Tinazzi, il quale scrive: “È la crisi dell’informazione, sempre più basata sull’immagine televisiva, veloce, che fagocita ogni elementare regola del giornalismo. Non serve provare i fatti, comprendere i meccanismi, ragionare. La deadline per mandare in tempo le notizie al mondo è strettissima. Così si perde spesso ogni tipo di deontologia. L’importante è arrivare prima degli altri e non bucare la «notizia». Non serve cercare di dire le cose come stanno, guardando, stando sul posto. Basta affidarsi a Internet e ai canali satellitari. Molte delle notizie lanciate dai canali satellitari si sono rivelate, in seconda battuta, false”. E la Russia resta a guardare s’intitola l’intervento di Fëdor Luk’janov, direttore di Russia in Global Affairs. L’Autore scrive che a Mosca “il bombardamento della Libia ha avuto conseguenze inaspettate: una spaccatura senza precedenti del tandem che governa il paese. Il primo ministro Putin ha condannato fortemente la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza, con la quale l’Onu ha autorizzato i raid aerei contro la Libia, definendola «inadeguata e scorretta» e, indirettamente ma in modo chiaro, ha contestato la decisione del presidente Medvedev di non bloccarla ponendo il veto. Una scelta, quella del leader del Cremlino, molto più conciliante e palesemente divergente da quella putiniana. Una duplice visione, quella russa, del tutto inattesa, anche perché quando sul tavolo ci sono questioni di guerra o di pace una potenza che rivendica un ruolo globale dovrebbe assumere una posizione chiara: pro o contro”. Sulla base di un rapporto inedito di un ufficiale italiano, Gastone Breccia (ricercatore presso l’Università di Pavia) ricostruisce la storia della battaglia finale contro Omar al-Mukhtar, il capo della guerriglia senussita “catturato l’11 settembre del 1931 dopo anni di guerriglia durissima tra le forre e i boschi del Jebel Akhdar cirenaico” contro l’occupazione italiana. Intervistato da Matteo Guglielmo (dottorando in Africanistica all’Università L’Orientale di Napoli) sul futuro della Libia “liberata”, il vice-presidente dei Fratelli musulmani libici, Muhammad ‘Abd al-Mālik, afferma: “La nostra intenzione è ovviamente quella di essere coerenti con gli impegni presi fino a oggi a livello internazionale. Non ci sarà alcuna modifica dei patti stipulati. Tutti i trattati saranno rispettati, a partire dagli accordi di vendita degli idrocarburi fino a quelli che riguardano l’immigrazione. È importante che il nuovo governo libico agisca negli interessi del suo popolo, e non a difesa di quelli di una sola famiglia o gruppo di potere. Gli investitori esteri dovranno tenere conto di questo. Anche sul piano regionale la linea da seguire dovrà necessariamente essere quella della cooperazione politica”.
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