Corea. La guerra sospesa (Quaderno speciale di Limes) |
Corea. La guerra sospesa (Quaderno speciale di Limes) Gruppo editoriale L'Espresso, pagg.200, Euro 12,00
Il primo quaderno speciale del 2011 della rivista di Geopolitica Limes ha per titolo Corea: la guerra sospesa.
In apertura, troviamo un articolo del Generale Fabio Mini, Il dilemma dei prigionieri, in cui si legge: "La divisione della Corea rappresenta l'esempio più concreto della politica delle sfere d'influenza secondo la dottrina dell'espansionismo attribuita fin dagli anni Trenta ai sovietici dall'ambasciatore statunitense Bullitt". Essa è "anche il primo esempio dell'uso spregiudicato da parte delle grandi potenze (in particolare gli Stati Uniti) delle Nazioni Unite, chiamate a legittimare la presenza americana in Corea". L'Autore spiega che nel '45 gli Usa e l'Urss separarono la Corea dirigendo "la propria parte come se fosse una prigione. I regimi del Nord e del Sud sono stati guardiani e secondini per conto terzi, con il doppio ruolo di controllare i propri prigionieri e proteggere la prigione da assalti esterni". La "prigionia collettiva" ha prodotto lo stallo in Corea, "lo stallo psicologico di chi non può agire perché non conosce cosa c'è al di là del muro di cinta, di chi non sa come passarlo senza farsi del male". Shin Beomchul, director del Korea Institute for Defense Analysis, esamina la strategia adottata dalla Corea del Nord a partire dagli anni Ottanta, con l'utilizzo della minaccia nucleare come strumento negoziale e assicurazione sulla vita. I piani nordcoreani, secondo Beomchul, prevedono la ripresa dei negoziati "a bocce ferme, per intascare i preziosi aiuti internazionali conservando la tecnologia e il materiale fissile sin qui conseguiti. In tal modo la successione al vertice del regime sarebbe assicurata, come pure il prolungarsi indefinito della divisione in due della penisola". D'altra parte, "la sopravvivenza della Corea del Nord ha un'importanza strategica per Pechino: non solo il paese funge da zona cuscinetto tra la Cina e gli Stati Uniti, ma le sue provocazioni accrescono l'importanza della mediazione cinese". La posizione del regime nordcoreano è sintetizzata nel breve intervento di Riu Kyon Il (direttore del Segretariato della Commissione nazionale della Corea del Nord per la Salvaguardia della pace): "L'attuale realtà delle relazioni Nord-Sud, che hanno toccato il loro punto più basso di sempre, è una chiara dimostrazione che la politica dello scontro non è la soluzione, ma anzi accresce le probabilità di un conflitto. In questo frangente è necessario che Nord e Sud pongano la nazione sopra le loro rispettive ideologie". La riunificazione non conviene a nessuno è il titolo dell'articolo di Maurizio Riotto (docente presso l'Università degli Studi L'Orientale di Napoli), il quale teme che "la divisione della penisola sia ormai irreversibile, stanti le abissali differenze politiche ed economiche fra le due Coree e il tornaconto delle grandi potenze. Come un secolo fa, la Corea rischia dunque di essere immolata agli interessi dei grandi". Il Prof. Riotto definisce il regime nordcoreano "uno Stato confuciano appena coperto da un sottile strato di vernice rossa". "Fin dalla sua formazione - spiega l'Autore -, il programma della politica nazionale nordcoreana era stato il recupero dei valori e dell'identità nazionali nell'ambito della più piena indipendenza politica [...]. Non deve perciò stupire che, nell'edificazione del nuovo Stato, ci si sia aggrappati ai modelli culturali più noti e rassicuranti, ossia quelli neoconfuciani degli ultimi seicento anni, mummificatisi in un panorama storico che si era mantenuto assolutamente involuto e piatto per almeno due secoli e mezzo, dalla prima metà del Seicento alla seconda metà dell'Ottocento". Fëdor Luk'janov (direttore di Russia in Global Affairs) ritiene invece che una Corea unita potrebbe offrire spazi di manovra a Mosca: "In caso di riunificazione sorgerebbe uno Stato solido che nei confronti di Mosca avrebbe pretese storiche minori, o di altro tipo, rispetto a quelle nei confronti degli altri Paesi vicini. Per la Russia [...] la Corea potrebbe diventare il partner più utile. Per non parlare dei progetti delle vie di trasporto tra Europa e Asia e delle arterie energetiche nell'Asia orientale che oggi sono ferme proprio perché non si è risolto lo stallo fra le due Coree". Brian Myers (docente della Dongseo University di Busan) scrive che la Corea del Nord "non ha mai avuto un orientamento comunista. Fin dall'inizio, la sua ideologia dominante è stata quella di un ultranazionalismo razzista, una versione coreanizzata del nazionalismo giapponese propagato durante il periodo coloniale (1910-1945)". Alle relazioni fra la Cina e la Corea del Nord è dedicata l'analisi di Francesco Sisci (giornalista del Sole-24 ore). Vi si legge che "Pechino conserva un certo ascendente sul suo riottoso vicino, ma i cinesi non sono affatto sicuri di poter tirare la corda senza spezzarla". L'intervento di Terence Roehrig (docente presso lo U.S. Naval War College) è significativamente intitolato L'America è in Corea per restarci. "Le basi americane in Corea del Sud - osserva l'Autore - sono [...] un punto di partenza per altri interventi su scala regionale, qualora ve ne fosse la necessità". Nella parte conclusiva del volume (Limes in più), si segnala l'articolo di Karim Mezran e Pejman Abdolmohammadi, in cui si esamina la rivalutazione dei valori e dei princìpi dell'antico impero persiano nell'Iran di oggi: "la nuova generazione politica, rappresentata attualmente dal presidente Mahmud Ahmadi-Nejad [...] inizia a dimostrare tendenze nazionaliste sempre più distanti dall'islamismo sciita imperante, sfidando così l'apparato clericale iraniano e in particolar modo l'ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema iraniana, simbolo dello sciismo politico nel mondo".
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