Il campo 29 |
Sergio Antonielli Il campo 29 Isbn edizioni, pagg.325, Euro 10,00
IL LIBRO - Il campo 29 racconta un fatto storico probabilmente sconosciuto ai più: la prigionia, durante la Seconda guerra mondiale, di circa diecimila ufficiali italiani concentrati in quattro campi a Yol, ai piedi della catena himalayana. Ma in realtà il campo 29 non esisteva, c’erano il 25, il 26, il 27 e il 28; il 29 era solo nel gergo dei prigionieri perché quando ne moriva uno dicevano: «È andato al 29». Sergio Antonielli descrive le sofferenze fisiche – la denutrizione, la febbre delfilo spinato, il clima insopportabile – ma soprattutto concentra il suo racconto sulla prigionia come condizione esistenziale. La sospensione della vita nel campo, le ore trascorse a riprendere le proprie attività nel punto dove le si erano lasciate: il professore studiava, il commerciante trafficava, il sarto tagliava e cuciva. Un’amara e fittizia recita collettiva per cercare di mascherare il progressivo disfacimento dell’uomo e tentare, se possibile, di sopravvivere.
DAL TESTO - "La prigionia che ebbi la sorte di subire fu estremamente diversa da quella che è stata resa nota, da tante altre testimonianze, in altre mani e in altre parti del mondo. Sofferenze di tutt’altro tipo. Il clima di Yol, la località in cui circa diecimila ufficiali italiani furono concentrati in quattro campi, si poteva considerare fra i migliori dell’India. Quanto meno, non era stato scelto per sterminarci. Eravamo nel Punjab, distretto di Kangra, nei pressi di Dharamsala, ai piedi del sistema himalayano del Dhola Dhar. A circa mille e duecento metri di quota – le vette passavano i cinquemila – avevamo inverni con tanto di neve, anche troppa per le baracche di legno in cui dormivamo. Da marzo a giugno, però, faceva assai caldo e da giugno a settembre la stagione delle piogge ci procurava non pochi disturbi. L’alimentazione poteva essere sufficiente in linea teorica, ma in pratica e alle lunghe dava luogo ai sintomi della denutrizione. Il male maggiore finì per essere la prigionia in sé, la febbre del filo spinato, come dicevano gli inglesi, aggravato dalla durata. Osservai che in quelle condizioni un uomo poteva dirsi «normale» per circa tre anni; dopo, s’incominciava a impazzire. "Gli inglesi ci trattavano con pedagogico e severo distacco. Non perdevano l’occasione per impartirci lezioncine di civiltà e per farci capire che fra loro e noi le distanze erano incolmabili. Per molte incombenze si servivano di ufficiali maltesi che provavano l’ebbrezza, nei nostri confronti, di una particolare superiorità. L’India, infatti, in cui eravamo capitati era ancora l’India inglese e conservava qualcosa di kiplinghiano. Si vedevano i Sikhs, si vedevano i Gurkhas, i serpenti e le scimmie, e si era esposti a una quantità di suggestioni, fra le quali può essere istruttivo accennare alla seguente. In cima a tutto, al vertice dell’umanità, si trova l’Englishman, l’inglese autentico. Un gradino al di sotto, il suddito in più largo senso di sua maestà: l’uomo bianco dell’impero, il Britishman. Poi viene il bianco di tipo nordico-germanico, fair. Appresso il bianco di tipo latino. Infine l’uomo di colore. Per innumerevoli segni recepibili dalla stampa, dalle occhiate, dall’atmosfera stessa in cui eravamo immersi, noi italiani finivamo per capire che il nostro posto era in fondo alla gamma dei gesticolanti latini, al punto di contatto con la gente di colore. I penultimi del mondo. Giusta punizione, per chi avesse creduto ai miti della razza. Ma fra noi ce n’erano pochi. Ora gli ufficiali maltesi, alla nostra presenza, tradivano un po’ troppo la loro soddisfazione di trovarsi in alto. E col tempo questa imperiale atmosfera finì per esserci di peso, anche perché dovevamo riconoscere che dagli inglesi avevamo non poco da imparare. Le nostre maniere non rendevano sempre l’idea della raffinatezza. Ma sono cose vecchie, dell’era preatomica."
L'AUTORE - Sergio Antonielli (1920-1982) è stato uno scrittore e critico letterario italiano. Tra le sue opere di narrativa La tigre viziosa (1954), Un cane e un uomo in più (1958), Il venerabile orango (1962), Oppure, niente (1971).
INDICE DELL'OPERA - Nota dell'autore - Parte prima - I - II - III - IV - V - Parte seconda - I - II - III - IV - V - VI - VII - La guerra girata altrove, di Edoardo Esposito - Nota biografica, di Edoardo Esposito |