Henry Kissinger
Leadership Sei lezioni di strategia globale
Mondadori, pagg.600, € 28,00
Nelle dense pagine di questo libro dedicato alla strategia globale, Henry Kissinger traccia il profilo di sei leader - Konrad Adenauer, Charles de Gaulle, Richard Nixon, Anwar Sadat, Lee Kuan Yew e Margaret Thatcher – che "furono tutti plasmati dalle circostanze del drammatico periodo storico vissuto. Tutti e sei forgiarono anche l'evoluzione postbellica delle rispettive società e dell'ordine internazionale". L'Autore ha avuto "la fortuna di conoscerli al culmine della loro influenza e di lavorare a stretto contatto con Richard Nixon. Avendo ereditato un mondo le cui certezze erano state dissolte dalla guerra, Adenauer, De Gaulle, Nixon, Sadat, Yew e Thatcher ridefinirono gli obiettivi nazionali, aprirono nuovi orizzonti e contribuirono a elaborare la nuova architettura di un mondo in fase di transizione".
I sei leader esaminati nel testo "svilupparono qualità parallele, nonostante le profonde differenze tra le rispettive società: la capacità di comprendere la situazione in cui i loro paesi si trovavano e di inquadrare una strategia per gestire il presente e plasmare il futuro, l'abilità di condurre la società verso obiettivi elevati, la prontezza di ovviare ai problemi. La fiducia nel futuro era indispensabile, per loro. Le cose stanno ancora così. Nessuna società può rimanere grande se perde la fiducia o se sistematicamente mette in dubbio la percezione che ha di sé. Ciò richiede soprattutto la disponibilità ad ampliare la propria sfera d'interesse alla società in generale, e a evocare la generosità del senso civico, che ispira servizio e sacrifici.
"La grande leadership deriva dall'incontro fra il duttile e l'immateriale, fra ciò che è dato e ciò che è esercitato. Rimane spazio per l'impegno individuale, per approfondire la comprensione storica, affinare la strategia e migliorare il carattere. Molto tempo fa il filosofo stoico Epitteto scrisse: «Non sono le cose a turbare gli uomini, ma i giudizi sulle cose». Il ruolo dei leader consiste nel guidare quei giudizi e nell'ispirare i loro popoli a tradurli in pratica".
Secondo Kissinger, i "leader sono fatalmente condizionati da lacci e lacciuoli. Operano in situazioni che presentano inevitabili ostacoli, perché ogni società è costretta ad affrontare i limiti delle proprie potenzialità e capacità d'azione, dettati dalla demografia e dall'economia. Essi operano anche nel tempo, in quanto ogni epoca e ogni civiltà riflettono i valori, le usanze e gli atteggiamenti che dominano in quel momento e che, insieme, definiscono i risultati cui si aspira. Inoltre, i leader agiscono in competizione tra loro, perché sono costretti a misurarsi con altri attori - siano essi alleati, potenziali partner o avversari – che non sono statici, ma adattativi, con loro specifiche capacità e aspirazioni. Per giunta, gli avvenimenti spesso accadono troppo in fretta per consentire calcoli precisi, sicché i capi di governo devono formulare giudizi basandosi su intuizioni e ipotesi la cui validità non è dimostrabile all'epoca in cui viene presa la decisione".
Nella ricerca della strada da seguire, l'Autore paragona la leadership strategica "al funambolo che cammina sulla corda: come l'acrobata rischia di cadere se è troppo timido o troppo audace, così il leader è costretto a procedere all'interno di uno stretto corridoio che lo vede sospeso tra le relative certezze del passato e le ambiguità del futuro. Il castigo per l'ambizione eccessiva, quella che i greci chiamavano hybris, è lo sfinimento, mentre il prezzo da pagare per avere riposato sugli allori sono la progressiva perdita di importanza e il declino finale. Passo passo, i leader devono adattare i mezzi ai fini e gli obiettivi alle circostanze, se vogliono arrivare alla meta. Il «leader come stratega» si trova ad affrontare un paradosso intrinseco: nelle circostanze in cui è necessaria l'azione, gli capita spesso di avere maggior margine di manovra per decidere quando ha a disposizione meno informazioni che mai, mentre quando dispone di più dati ha in genere un margine di manovra ristretto. Per esempio, nella fase iniziale di un riarmo strategico della potenza rivale, oppure quando scoppia all'improvviso una nuova epidemia virale che colpisce l'apparato respiratorio, la tentazione è di considerare il fenomeno emergente transitorio o gestibile secondo gli standard consolidati".
Come già per Churchill, anche per Kissinger lo studio della storia riveste un ruolo cruciale. Tuttavia, "la conoscenza della storia, ancorché essenziale, non basta. Alcune questioni restano sempre «velate dalla nebbia», e risultano impervie perfino agli eruditi e agli esperti".
"La storia – aggiunge lo statista americano - insegna per analogia, permettendoci di confrontare situazioni tra loro simili. Le sue «lezioni», però, sono solo approssimazioni che i leader hanno il non facile compito di riconoscere e la responsabilità di adattare alle circostanze della propria epoca. Oswald Spengler, filosofo della storia dei primi del Novecento, colse bene questo compito quando disse che il leader, l'uomo «chiamato all'azione», ha «l'impulso e l'istinto, la capacità di capire uomini e situazioni, la fede nella propria stella»".
Inoltre, "il leader stratega che conosce a fondo la storia si sforza di distillare dall'ambiguità intrinseca a una situazione intuizioni utili ai fini operativi".
"La storia rimane una maestra severa e implacabile: la rivoluzione tecnologica è stata accompagnata da una trasformazione politica. Nel momento in cui scrivo, il mondo sta assistendo al ritorno della rivalità fra grandi potenze, amplificata dalla diffusione e dal progresso di tecnologie sbalorditive. Quando, all'inizio degli anni Settanta, la Cina è rientrata nel sistema internazionale, il suo potenziale umano ed economico era vasto, ma la sua tecnologia e il suo potere effettivo erano relativamente limitati. La crescita delle capacità economiche e strategiche della Cina ha ormai obbligato gli Stati Uniti a confrontarsi, per la prima volta nella loro storia, con un concorrente geopolitico le cui risorse sono virtualmente paragonabili alle proprie; con questa situazione inedita c'è scarsa dimestichezza tanto a Washington quanto a Pechino, che storicamente trattava le nazioni straniere come tributarie della potenza e della cultura cinesi".
Al leader stratega non devono poi mancare le qualità dell'artista, "che intuisce come forgiare il futuro usando il materiale disponibile nel presente". Ne era convinto anche Charles de Gaulle.
"Nelle scelte politiche importanti – osserva ancora Kissinger - non è quasi mai in gioco un'unica variabile: per giungere a decisioni sagge, occorre coniugare intuizioni politiche, economiche, geografiche, tecniche e psicologiche, coordinandole tutte con l'istinto della storia. Alla fine del XX secolo, Isaiah Berlin spiegò che era impossibile applicare i metodi scientifici fuori dall'ambito della scienza, e che quindi l'arte dello stratega era sempre difficile". |