a cura di Nicola Labanca
Guerre ed eserciti nell'età contemporanea
il Mulino, pagg.529, € 32,00
Nella collana "Guerre ed eserciti nella storia" della Società editrice Il Mulino, è stato recentemente pubblicato a cura di Nicola Labanca (docente di Storia contemporanea presso l'Università di Siena), il quarto volume dedicato all'età contemporanea.
L'opera raccoglie i contributi "di autori tutti operanti nelle università, o da esse da poco formati" e mira a "fornire una traccia di tutto l'ampio arco della storia dell'Italia unita: una volta identificati alcuni caratteri originari, sin dalla formazione dello stato unitario per giungere – attraverso l'Italia liberale, il fascismo, le due guerre mondiali e il lungo periodo repubblicano – sino a oggi". Viene inoltre offerto un esame "interforze e non limitato a una sola forza armata".
Marco Rovinello spiega che la storia militare dell'Italia liberale ha seguito "un percorso certo accidentato, non privo di battute d'arresto anche clamorose, ma tutto sommato di crescita, nonostante la realtà di un ruolo marginale nel novero delle grandi potenze e i vincoli socioeconomici, di bilancio e politico-istituzionali di un paese nato d'improvviso e in perenne bolletta. In particolare, vi si poteva scorgere il contributo importante che il militare aveva dato allo state building nazionale, alla modernizzazione, alla medicalizzazione e, in misura minore, al processo di nazionalizzazione e fidelizzazione alla monarchia sabauda".
La Grande Guerra fece compiere allo strumento militare italiano una radicale trasformazione, "secondo un percorso – come scrive Marco Di Giovanni – allineato a quello degli altri grandi eserciti protagonisti del conflitto. Il peso dei «numeri» aveva lasciato comunque emergere alcuni processi di modernizzazione e alcune rilevanti novità tecniche e organizzative. Era un punto di partenza, peraltro in uno scenario allargato che, in Europa, avrebbe visto la fine completa delle ostilità non prima del 1923 e, nella penisola, governi che, liberali dal 1918 al 1922, si preoccupavano soprattutto del mantenimento dell'ordine interno, sfidati da una turbolenza sociale e politica con pochi pari. Dalla fine del 1922, un nuovo governo si sarebbe instaurato, con un nuovo leader di un nuovo partito politico che invece alle forze armate molto, troppo, avrebbe successivamente richiesto".
Tra il Regime fascista e le forze armate – osserva Emanuele Sica – "fu stretta un'alleanza anch'essa non priva di frizioni, ma che non solo non pregiudicava lo stato totalitario voluto dal fascismo, anzi lo rafforzava. Anche per questo Mussolini si trattenne dall'interferire più di tanto – ad esempio – in tema di ordinamenti militari. È indubbio però che il fascismo ebbe conseguenze negative sulla cultura e sull'efficienza militare delle forze armate nel periodo tra le due guerre, ostacolando una reale trasformazione e alla fine non realizzando un vero riarmo, accontentandosi della retorica. Fra i vertici militari, riformisti e tradizionalisti differivano nella concezione delle forze armate ma non riuscirono a delineare un modello coerente. A livello strategico, poi, l'assoluto accentramento del potere nelle mani del duce finì per condannare il paese alla retorica, che si limitava a mascherare le importanti carenze strutturali".
Nella storia dell'Italia repubblicana, spiega Nicola Labanca, "la dimensione militare nazionale ha conosciuto un ridimensionamento" rispetto ai precedenti periodi liberale e fascista. Tuttavia, "è difficile affermare che il contributo militare italiano (ad esempio, alla NATO) sia stato trascurabile, e senza l'Italia molte operazioni di stabilizzazione non avrebbero potuto consolidare la pace, o lo status quo, come invece hanno fatto. Lo sforzo economico che la Repubblica ha compiuto nei confronti del proprio strumento militare è stato sicuramente inferiore a quello di altri paesi europei, dal Regno Unito alla Francia, ma è stato del tutto ragguardevole per un «paese senza»; e le consistenti risorse indirizzate ai bilanci militari non sono andate alla crescita economica, alla salute e all'istruzione degli italiani. Alcuni elementi e alcuni gravi episodi (affare SIFAR, servizi deviati, inefficienze e sprechi) hanno fatto dubitare che, come la Costituzione postfascista esigeva, le forze armate fossero sempre e del tutto informate allo «spirito democratico della Repubblica»; tuttavia, la storia del secondo dopoguerra italiano è comunque stata ben lontana da quella spagnola, greca o turca". |