La guerra italiana |
Marco Mondini
IL LIBRO – «La maggior parte di coloro che vennero travolti dalla guerra, fossero soldati al fronte o donne mobilitate nelle retrovie, fece la propria parte fino in fondo. Come ciò sia stato possibile, è uno dei quesiti a cui ho tentato di dare una risposta. Perché, dopo anni di combattimenti e morte e dopo una vittoria così duramente pagata, le emozioni dominanti in Italia siano state non l'orgoglio bensì la disillusione e il senso di fallimento, è un altro». DAL TESTO – "Risolutezza e fatalismo furono le parole d'ordine dell'inizio della guerra anche nel Regno d'Italia. Lo sgomento di una mobilitazione generale improvvisa e inaspettata, l'affollarsi alle caserme di decine di migliaia di riservisti in pochi giorni, le cerimonie festanti inscenate alle stazioni per testimoniare l'affetto della nazione per i suoi giovani guerrieri furono scene rare; d'altra parte, la notizia dell'intervento non vide nemmeno folle inneggianti riversarsi nelle piazze che solo la settimana prima avevano visto il trionfo dei «patriottici entusiasmi». Ancora una volta, la lenta e conflittuale transizione dalla pace alla guerra vissuta dall'Italia stava disegnando uno scenario particolare. Più che innescare scoppi di giubilo sciovinista e corali dimostrazioni di devozione patriottica, la dichiarazione di guerra sembrò esaurire le intense emozioni collettive che avevano animato fino a quel momento la lotta politica. L'indifferenza, come notava il ministro Ferdinando Martini, aveva preso il posto delle passioni violente a Firenze, che pure era stata un teatro non minore dell'interventismo; un giudizio a cui faceva eco un ufficiale francese di passaggio in Italia, stupito dal fatto che a Roma non sembrasse nemmeno di essere in guerra, tanto gli abitanti della capitale erano inerti, mentre Bologna, da cui sarebbe transitato Ugo Ojetti in viaggio per Venezia, due giorni prima dell'intervento, era «tranquilla, troppo tranquilla, con poche bandiere». Si dovrebbe aggiungere che molti giovani uomini, gli stessi che nei primi giorni di mobilitazione in Europa si erano riversati nelle strade, nelle caserme e nelle stazioni, erano già sotto le armi e al fronte da settimane, se non mesi: come ricordava non senza ironia Antonio Monti, c'è da chiedersi di quale euforia bellicista avrebbero mai potuto dare prova i ventenni italiani che settimane prima dell'intervento erano quasi tutti già inquadrati nei ranghi dell'esercito, sorvegliati, disciplinati e impossibilitati a manifestare qualsiasi opinione personale. In effetti, la decisione di dare corso alla cosiddetta «mobilitazione occulta» (poi «mobilitazione rossa») aveva avuto come principale conseguenza quella di accelerare la chiamata alle armi di decine di migliaia di riservisti delle classi più giovani (ufficialmente per istruzione) e le scene di gruppi di coscritti in partenza per raggiungere il proprio reggimento si erano moltiplicate in tutta la penisola già nell'autunno del 1914, quando si trovarono alle armi oltre 600 mila uomini, due terzi dei quali richiamati; anche se in gennaio molti sarebbero stati rimandati (per poco) alle loro case, la sensazione della guerra imminente, respirata nelle caserme dove continuavano ad affluire reclute e materiali, si era ampiamente diffusa. Giuseppe Personeni, anche lui richiamato in marzo in qualità di ufficiale di complemento, ricorda comandanti di reggimento eccitati che accoglievano i nuovi arrivati con inquietanti pronostici su quanto sangue si sarebbe versato di lì a qualche giorno per l'offensiva contro l'Austria; un furore guerresco corale ma, a posteriori, alquanto sorprendente, non solo perché all'interno del corpo ufficiali di carriera il filogermanesimo era così diffuso da stemperare molto gli ardori verso un conflitto che avrebbe opposto l'Italia ai tanto ammirati prussiani, ma anche perché, in effetti, la decisione politica sull'intervento era lontana dall'essere presa." L'AUTORE – Marco Mondini, normalista, è ricercatore nell'Istituto storico italo-germanico di Trento e insegna Storia contemporanea nell'Università di Padova. Tra i suoi libri: «La politica delle armi. Il ruolo dell'esercito nell'avvento del fascismo» (Laterza, 2006), «Alpini. Parole e immagini di un mito guerriero» (Laterza, 2008), «Generazioni intellettuali» (Edizioni della Normale, 2010); ha inoltre curato con M. Rospocher, «Narrating War. Modern and Contemporary Perspectives» (Il Mulino/Duncker & Humblot, 2013). INDICE DELL'OPERA – Introduzione. Una guerra differente - Parte prima: partire - I. Inizi (1. Quando comincia una guerra - 2. Alle origini dell'attesa della guerra - 3. La guerra come spettatori - 4. La guerra anticipata) - II. L'economia del sacrificio (1. Una nazione in armi - 2. Pagare l'imposta del sangue - 3. La condivisione del sacrificio: gli «altri eserciti» della mobilitazione civile) - III. Italiani alla guerra (1. Quelli che partono - 2. Quelli che combattono: «trinceristi» e «plotonisti» - 3. Ai vostri ordini? I soldati e il fattore disciplinare) - Parte seconda: raccontare - IV. Scrivere della guerra (1. Ma che guerra letteraria! - 2. Per chi combattiamo? Il tema del cameratismo - 3. Dare la morte - 4. Una guerra antica? Il racconto alpino e la tribù dei combattenti di montagna - 5. La guerra: vita nova e ritorno) - V. La guerra delle illusioni (1. Bandiere al vento e trepide fanciulle. La guerra di giornali e riviste - 2. «La risposta è nella guerra!». La mobilitazione dell'infanzia e nei fumetti - 3. Una guerra lontana. La messa in scena del conflitto sugli schermi) - Parte terza: ritornare - VI. Uscire dalla guerra? (1. Il 4 novembre: vincitori e sconfitti - 2. I vincitori che tornano sconfitti. La fine della guerra per i prigionieri italiani - 3. Lunghi ritorni: l'anabasi degli (ex) italiani d'Austria) - VII. Quelli che non ritornano (1. Il peso dei morti - 2. La pietà e l'orgoglio - 3. Pro patri mori: le allegorie dei monumenti - 4. La memoria trionfale) - Conclusioni. Una guerra che non finisce - Sigle e abbreviazioni – Note - Indice dei nomi |