Malanotte. Rimpiango quasi tutto Stampa E-mail

Renato Vallanzasca
(con Micaela Palmieri)

Malanotte
Rimpiango quasi tutto


Baldini+Castoldi, pagg.256, € 18,00

 

vallanzasca malanotte  La storia criminale italiana, in particolare quella degli anni Settanta e Ottanta, è segnata da figure che hanno incarnato l'immagine di un Paese attraversato da profonde contraddizioni sociali, politiche e culturali. In questo contesto, Renato Vallanzasca emerge come uno dei banditi più noti e controversi. La sua figura è strettamente legata al fenomeno della criminalità organizzata, ma anche alla nascita e all'evoluzione del mito del bandito, un mito che in Italia ha avuto una lunga tradizione, alimentato tanto dai media quanto da una certa fascinazione popolare. Conosciuto per la sua spregiudicatezza nelle rapine, la sua abilità nelle fughe e il suo carisma, Vallanzasca si è guadagnato l'appellativo di "Dillinger della Comasina", con un'immagine che si è consolidata anche grazie a un'immensa copertura mediatica.

  Se da un lato la sua carriera criminale lo ha portato a essere una delle figure più temute e conosciute del crimine italiano, dall'altro la sua lunga detenzione e le vicissitudini legate alla vita dietro le sbarre lo hanno trasformato in un simbolo di un sistema penale italiano spesso accusato di inadeguatezza e violenza. Il libro "Malanotte. Rimpiango quasi tutto" offre una riflessione su quest'uomo, sul suo percorso e sulla sua reclusione, ma anche sull'umanità che resta dentro la figura del "bandito", un titolo che nelle pagine del libro assume una dimensione più complessa e sfaccettata.

  Il libro si presenta come una biografia intensa e personale, un'opera che sfida la tradizionale narrazione del "bandito" e la trasforma in un racconto intimo e riflessivo. Scritto da Renato Vallanzasca con la collaborazione della giornalista e scrittrice Micaela Palmieri, si distingue per l'autoanalisi che il protagonista compie sulla sua vita, prigioniera di una spirale di violenza, aberrazione e, infine, rassegnazione.

  Il racconto si sviluppa attraverso una narrazione che mescola il resoconto diretto della vita del bandito con riflessioni più ampie sulle contraddizioni del sistema penale, sul significato della libertà e sul dolore di una vita segnata dal crimine e dalla detenzione. Vallanzasca stesso si presenta come una figura profondamente ambigua: se da un lato non rinnega il suo passato, dall'altro non può fare a meno di interrogarsi sulle scelte fatte e sulle vite distrutte dalla sua stessa mano. La consapevolezza del dolore causato è evidente nelle sue parole, ma il rimpianto non si traduce in un'autoassoluzione: è piuttosto il riconoscimento di una realtà che non può più essere cambiata.

  Uno degli aspetti più significativi del libro è la sua struttura. Il volume si muove tra il racconto delle esperienze di Vallanzasca fuori dal carcere e il monologo che il detenuto stesso pronuncia, in cui emergono le sofferenze fisiche e psicologiche della prigionia. Le umiliazioni quotidiane, le violenze, i ricatti e l'isolamento sono descritti con un'intensità rara, creando un contrasto stridente con la vita spericolata e avventurosa che Vallanzasca aveva vissuto nel periodo dei suoi crimini. È in questo passaggio che il testo assume una dimensione interessante, poiché porta alla luce il paradosso di un uomo che ha vissuto senza limiti, ma che ora è costretto a fare i conti con una "non-vita" dietro le sbarre, lontano dalla libertà e dalla "bella sensazione di poter fare tutto" che tanto aveva amato.

  La figura di Vallanzasca si intreccia con quella della società italiana, un Paese che negli anni Settanta viveva una stagione di fermento politico e sociale, di terrorismo e di lotta armata. La "Malanotte" evocata nel titolo si fa metafora di una notte senza fine, che sembra ricadere su chi ha scelto la via del crimine come forma di resistenza alla normalità e alle regole, ma che si scontra inevitabilmente con le proprie contraddizioni e con la realtà del carcere, che diventa un luogo di continua disillusione.

  Un altro tema centrale del libro è il rapporto tra Vallanzasca e Micaela Palmieri. Quest'ultima, giornalista e scrittrice, non si limita a fare da interlocutrice al racconto del bandito, ma emerge come figura chiave nel portare alla luce la sua umanità. Il loro incontro, descritto nel testo, diventa l'unico spazio in cui Vallanzasca può realmente "evadere" dalle mura del carcere e confrontarsi con la sua identità, con i suoi sogni perduti e con le sue sconfitte. La figura di Palmieri, infatti, non è solo quella di una giornalista che intervista un detenuto famoso, ma quella di un'ancora di salvezza che, pur nella sua professionalità, consente a Vallanzasca di esprimersi senza filtri, di raccontare non solo la sua storia criminale, ma anche il suo percorso di crescita interiore e di consapevolezza.

  *Malanotte. Rimpiango quasi tutto* non è solo un libro sulla vita di un bandito, ma un'analisi profonda delle contraddizioni umane, dei costi della libertà e della ricerca di un riscatto che, alla fine, non arriva mai completamente. Vallanzasca non chiede redenzione, ma invita il lettore a riflettere su una vita che, pur essendo segnata dal crimine, ha anche momenti di profonda umanità. Il suo racconto non è solo la confessione di un uomo che ha vissuto fuori dalle regole, ma una riflessione sulla prigione – fisica e psicologica – che è più difficile da evadere di qualsiasi muro.