Massimo Livi Bacci
Per terre e per mari Quindici migrazioni dall'antichità ai nostri giorni
il Mulino, pagg.212, € 18,00
Massimo Livi Bacci (professore emerito dell'Università di Firenze e Accademico dei Lincei) racconta, in questo saggio pubblicato nella "Biblioteca storica" del Mulino, "quindici storie di migrazione, dall'antichità all'attualità" relative soltanto al mondo occidentale (Europa e America).
Dal mondo romano si ricavano "moltissimi spunti di interesse per quanto riguarda la mobilità": "le popolazioni dislocate a trapiantate da un luogo a un altro avevano dimensioni considerevoli. Si trattava di migrazioni forzate dettate dallo stato, per considerazioni strategiche e politiche, nell'interesse dello stato stesso. Per quanto riguarda la mobilità generata dalla gestione dei limes, questa riguardava, oltre ai coscritti obbligati, anche volontari che trovavano un tornaconto nell'arruolamento, e che si spostavano per propria scelta".
"A partire dal III secolo – spiega Livi Bacci -, le pressioni dei popoli germanici sulle frontiere dell'impero si fecero più intense. La storia ci mostra un caleidoscopio di popoli e di etnie, quasi sempre dalle origini incerte, la loro storia avvolta nella nebbia, con esperienze di conflitti e di mescolanze, in buona parte nomadi, in territori vastissimi e poco popolati".
L'Autore prende in esame tre casi di migrazioni forzate. Il primo riguarda l'impero inca e vede "trapianti forzati di popolazioni fatti per consolidare i nuovi territori acquisiti nel processo di espansione dell'impero, nel XV e XVI secolo, e per diluirne e integrarne la popolazione". Il secondo caso si riferisce agli anni precedenti e successivi al tramonto dell'impero ottomano in cui "le migrazioni forzate sfociarono nel genocidio o sterminio violento, della minoranza armena e di quella greca". Il terzo caso è "relativo all'Unione sovietica negli anni della seconda guerra mondiale" in cui ebbero luogo "migrazioni forzate «interne»", che erano delle "vere e proprie deportazioni" di "minoranze sospettate di intese con il nemico o comunque ritenute politicamente inaffidabili" (come i ceceni, i tatari, gli ingusci). Ma nel corso della storia si sono verificate anche migrazioni forzate dettate "non dalle decisioni di uno stato tirannico, ma da uno stato di necessità. Migrazioni che non si sarebbero verificate senza l'accadere di un evento o di una condizione naturale particolare", come i traumi naturali che "hanno cambiato le condizioni ambientali" e "alterato delicati equilibri": siccità, inondazioni, cicloni, terremoti e maremoti, o "la peronospera che per cinque anni colpì e distrusse i raccolti della patata, l'alimento di base della popolazione dell'Irlanda".
Poi c'è il caso delle migrazioni "sostenute e organizzate da forti poteri politici", come quello delle giovani donne "inviate dalla Francia nel Québec canadese" o quello di alcune decine di migliaia di coloni tedeschi "nei vasti territori della bassa valle del Volga".
La migrazione libera è invece caratterizzata da "una «decisione individuale» come fattore discriminante". Tuttavia, secondo l'Autore, "è lecito ritenere libera anche la migrazione che sia frutto di una decisione della famiglia, o di una strategia condivisa di un gruppo o di una comunità". Nel mondo moderno, essa è stata "un fenomeno relativamente raro", mentre in epoca preistorica forse è risultata più frequente". Emblematiche in tal senso sono le "migrazioni messe in moto dalla costituzione di mercati del lavoro con attrattività di lungo raggio, che richiedevano manodopera non reperibile in loco o in aree immediatamente circostanti alle zone bisognose di lavoro".
Le migrazioni contemporanee "non sono mosse da libere decisioni individuali, ma vengono condizionate da un intrico di regole che decidono chi ha titolo a migrare, indipendentemente dalle inclinazioni individuali. Molte di queste regole sono storte, danneggiano i migranti e impediscono alla migrazione di esprimere i suoi benefici effetti. Raddrizzarle è un'impresa difficile e richiederà un lungo impegno della comunità internazionale". |