Ascesa e declino. Storia economica d'Italia Stampa E-mail

Emanuele Felice

Ascesa e declino
Storia economica d'Italia


il Mulino, pagg.385, € 18,00

 

felice ascesa  IL LIBRO – «Se la storia dell'economia italiana può insegnarci qualcosa, la strada per evitare il declino non può che essere una: dotarsi degli stessi fondamentali su cui poggiano le economie forti del continente. È la strada più difficile da seguire per la classe dirigente − politica e imprenditoriale − e per questo è ancora più importante che l'opinione pubblica ne sia consapevole»
  Nel suo percorso millenario il nostro paese ha conosciuto fasi alterne di prosperità e di declino. Dopo i successi del Novecento, da anni sembra arenato nelle secche di una lunga stagnazione, che non trova paragoni nel resto dell'Occidente. Come è stato possibile passare da una realtà economica tra le più floride all'attuale declino? Alla luce delle più aggiornate ricerche sul reddito e sulla disuguaglianza, sul divario Nord-Sud e sulla performance delle imprese, il libro mostra come l'origine dei successi e dei fallimenti italiani sia da ricercarsi nell'assetto politico e istituzionale del paese, nelle sue classi dirigenti e nel modo in cui esse hanno inciso, nel bene o nel male, sulle condizioni profonde della crescita.

  DAL TESTO – "Di fronte alla crisi, l'Italia fascista si caratterizza quindi per una combinazione di politiche finanziarie moderatamente espansive e di politiche monetarie ortodosse, o restrittive. Il risultato è deludente. Secondo le nuove stime, dal 1932 al 1938 il Pil per abitante crebbe in totale dell'8,6% (per un incremento annuo di appena l' 1,4%). Si tratta di un dato peggiore di quello di tutti gli altri paesi avanzati, indipendentemente dalle politiche adottate: nello stesso periodo il reddito per abitante della Germania hitleriana, che tipicamente scelse politiche monetarie e fiscali entrambe espansive, aumentò di ben il 49%; gli Stati Uniti, che pure ebbero una politica monetaria restrittiva e una fiscale non più espansiva di quella italiana, crebbero del 25% (cioè quasi il triplo dell'Italia); con politiche speculari a quella italiana, espansive in ambito monetario e ortodosse in campo fiscale, il Regno Unito raggiunse una crescita del 22%, il Giappone del 25%; la Francia, che pure scelse l'ortodossia sia in campo monetario sia in campo fiscale, se la cavò con un 13%, comunque migliore del risultato italiano; ma è da menzionare anche il successo dell'Unione Sovietica, che ebbe politiche espansive e il cui reddito per abitante dal 1932 al 1938 aumentò del 49%, eguagliando quindi la Germania nazista ((ma in questo caso il successo è ancora maggiore se confrontato sull'intero decennio 1929-1938, dato che l'Urss non fu colpita dalla crisi).
  "Sono questi gli avversari e gli alleati con cui l'Italia combatterà la Seconda guerra mondiale. Il nostro paese è il più debole e – ben al di là della propaganda del regime - negli anni trenta il divario è andato allargandosi anziché diminuire; non solo nel Pil, ma anche nelle principali produzioni che determinano la capacità bellica di uno stato in epoca contemporanea: acciaio, chimica, energia. L'industrializzazione arranca: gli addetti all'agricoltura, diminuiti rapidamente durante gli anni venti (dal 59 al 51 %), rimangono quasi stazionari nel decennio successivo (erano il 48% nel 1940); ma quel che è peggio, alla data in cui l'Italia entra in guerra gli occupati nell'industria sono ancora nella stessa percentuale del 1929 (il 29%), anche se adesso lavorano di più. I maggiori danni, le politiche fasciste li avevano fatti nel Mezzogiorno. Per il timore di intaccare l'equilibrio di potere su cui il regime poggiava (cioè il sostegno dei grandi proprietari), gli assetti di conduzione della terra, fondati su bracciantato e grande proprietà estensiva, non erano stati modificati. Le politiche agrarie risultano controproducenti, e i pochi benefici che arrivano dalle bonifiche non bastano di certo a compensare le distorsioni provocate dalla battaglia del grano e dagli incentivi alla natalità; per di più le infrastrutture, come abbiamo visto, in questo periodo vengono realizzate soprattutto nel Centro-Nord."

  L'AUTORE – Emanuele Felice insegna Storia economica nell'Università Autonoma di Barcellona. Con il Mulino ha pubblicato «Divari regionali e intervento pubblico. Per una rilettura dello sviluppo in Italia» (2007) e «Perché il Sud è rimasto indietro» (2014).

  INDICE DELL'OPERA – Premessa - I. Una prospettiva millenaria (1. L'Italia romana - 2. Dal Tardo-antico al Rinascimento - 3. Verso l'Italia moderna) - II. La nuova storia economica d'Italia (1. Dalla periferia al centro... e ritorno? - 2. Questione nazionale e divari regionali - 3. Dal reddito al benessere - 4. Storia economica e storia d'impresa) - III. L'età liberale (1. Destra e Sinistra storiche - 2. La crisi di fine secolo e l'età giolittiana - 3. Il (lento) decollo del capitalismo italiano) - IV. Guerre e fascismo (1. Guerra e trasformazioni - 2. Recessione e guerre - 3. Il capitalismo italiano: crisi e riorganizzazione) - V. L'età dell'oro (1. Ricostruzione e miracolo - 2. Verso una crescita più inclusiva? - 3. Il capitalismo italiano fra espansione e occasioni perdute) - VI. L'Italia nella globalizzazione (1. L'età dell'argento - 2. L'età del bronzo - 3. Frammentazione e deriva del capitalismo italiano) - VII. Capire le cause dell'ascesa e del declino (1. Uno schema per i cambiamenti economici - 2. Nello schema: la storia economica dell'Italia contemporanea - 3. Per un nuovo «principe»: dall'Italia all'Europa) - Indice delle tabelle e delle figure dell'Appendice statistica online (disponibile nella scheda volume sul sito www.mulino.it) - Indice dei nomi