Elena Tassi Scandone
Quodammodo divini iuris Per una storia giuridica delle res sanctae
Jovene Editore, pagg.208, € 20,00
IL LIBRO – Il volume ripercorre la storia giuridica di tale categoria delle res sanctae, individuando i mutamenti intervenuti nel corso dei secoli e dettati dal modificarsi delle esigenze della prassi e dell'assetto politico ed istituzionale di Roma. Il punto di partenza è costituito dalla concezione di res sanctae propria della giurisprudenza classica, quale emerge da Gaio innanzitutto, ma anche dalle testimonianze di Ulpiano, Marciano e Pomponio. La tappa successiva consiste nella ricostruzione, sulla base dei documenti disponibili, della concezione giurisprudenziale repubblicana, con specifico riferimento a Trebazio Testa innanzitutto, ma anche a Elio Gallo. Tra i giuristi classici e quelli repubblicani emergono divergenze molto significative. Mentre i primi, includono tra le res sanctae tanto le mura di Roma, quanto le porte che si aprono nel circuito urbano, quanto ancora i muri municipales, i secondi considerano sancti solo i muri della città di Roma e quelli delle colonie fondate eodem rito. L'ultima parte del volume è costituita dai documenti sacerdotali, che ci consentono di risalire a un'età ancora più antica, che possiamo collocare tra l'età monarchica e la prima età repubblicana. Particolarmente preziosi, ai fini della presente ricerca, si rivelano i Libri Rituali etruschi, in cui sono contenuti i riti di fondazione della città e le norme sulla sanctitas delle mura e il ius delle portae. Una volta accertato che il più antico concetto di sanctitas riferito al muro trova il proprio fondamento nel rito giuridico-religioso del sulcus primigenius, l'Autrice spiega come dall'originario concetto di sanctus riferito al murus si sia arrivati alla definizione classica di res sanctae, con la conseguenza di poter ricomprendere all'interno di tale categoria di beni anche le portae e i muri municipales.
DAL TESTO – "Di norma l'auguraculum è situato nell'angolo di nord-ovest del nuovo insediamento, ed è il punto da cui si origina la limitatio della sedes inaugurationis, cioè la delimitazione topografica delle diverse aree del nuovo sito. Senza entrare nei dettagli delle particolari operazioni di delineazione delle linee della forma urbana, sarà sufficiente affermare che la regola consiste nel legare la geometria della città al templum celeste. Lo spazio è concepito in base ad un'idea religiosa e le linee hanno un significato rituale così come l'orientazione delle due strade principali in base ai punti cardinali che è testimoniata dal ritrovamento nell'incrocio principale di Marzabotto effettuata da Mansuelli di un cippo con decussis. "La concezione rituale dello spazio prevede dapprima la delimitazione di una porzione di cielo definita templum all'interno della quale l'augure avrebbero dovuto osservare i signa ex avibus. "L'augure procede ad individuare il centro della città ed in base ad esso tracciare le linee viarie principali, in sostanziale corrispondenza con la geometria del templum celeste e del templum in terra dell'auguraculum. In corrispondenza degli incroci vengono scavate fosse in cui sono deposti i cippi, e sepolte offerte di vario tipo. Poi con il vomere di bronzo dell'aratro si traccia un solco continuo a stabilire il percorso delle mura interrotto solo in corrispondenza delle porte della città. Tale solco è considerato fin da subito una linea inviolabile. Il rito si conclude con una solenne cerimonia di sacrificio della città così fondata. "La fondazione di Roma quale narrata dalle fonti è molto simile al rito ora descritto."
L'AUTRICE – Elena Tassi Scandone è docente a contratto di Istituzioni di diritto romano presso la Facoltà di Giurisprudenza di Unitelma-Sapienza.
INDICE DELL'OPERA – Capitolo primo. Il problema dell'inquadramento delle «res sanctae» - Capitolo secondo. Le «res sanctae» nella testimonianza delle fonti e nelle interpretazioni della storiografia - Capitolo terzo. «Augurium» di fondazione e rito del «sulcus primigenius» - Capitolo quarto. La tutela delle «res sanctae» - Capitolo quinto. Da «sanctus» come «munitus» a «sanctus» come «quod sine poena violari non potest» - Indice delle fonti |