Memorandum. La mia autodifesa |
Robert Brasillach Memorandum Edizioni Medusa, pagg.80, € 11,00
IL LIBRO – “Tante leggende sono circolate sul rifiuto di concedere la grazia a Brasillach da parte di de Gaulle. Ma se è possibile perdonare qualunque individuo in carne e ossa, come si può usare clemenza con un simbolo? Con l'aggravante del suo talento, che lo stesso pubblico ministero non esita a riconoscergli, Brasillach è la perfetta incarnazione di quell'”intelligenza con il nemico” che la nuova Francia deve lavare come un'onta. E dunque quello che si celebra il 19 gennaio del 1945 nel cuore di Parigi è sì un processo penale, ma anche una sacra rappresentazione, una cerimonia espiatoria, la convocazione forzata della letteratura sul duro terreno della responsabilità. Ce n'è abbastanza per fare dell'aula gelida della Corte d'Assise uno di quei luoghi in cui tutta un'epoca sembra darsi convegno, uno spazio saturo di senso come un'allegoria. Ci sono i giudici, i giurati, il rappresentante dell'accusa e l'avvocato, i giornalisti. C'è la sorella di Brasillach, quest'uomo che ha sempre fatto volentieri a meno delle donne, e ci sono Simone de Beauvoir e Maurice Merleau-Ponty. Ci sono i giovani fascisti che accolgono la sentenza di morte con urla di protesta e quasi non riescono a credere che l'esito di quella messa in scena, nella sua ingenuità, abbia regalato loro un martire di tale importanza. Di questo rischio non si accorsero né Sartre né Simone de Beauvoir, che si rifiutarono di firmare il famoso appello a de Gaulle per la grazia. Come in moltissime altre occasioni, a brillare di una luce propria e solitaria è l'intelligenza di Albert Camus, che pure odiava Brasillach considerandolo - non a torto - un delatore, un istigatore della Gestapo. Indubbiamente, in Camus agisce principalmente il rifiuto etico della pena di morte. Ma questo rifiuto si accompagna a una lucidissima intuizione sui pericoli morali e politici dell'esemplarità, che mentre fa pesare sulle spalle del singolo le colpe collettive, lo trasforma in una specie di eroe...” (Emanuele Trevi) DAL TESTO – “La Francia, nella sua storia, è già stata sconfitta altre volte. Colui che nel 1815 non credeva alla disfatta della Francia le ha reso un servizio peggiore di colui il quale, ammettendo questa disfatta, faceva della Francia, sei mesi più tardi, la potenza maggiore al Congresso di Vienna. Quasi tutto il mondo ammetteva questa sconfitta. M. Gide, oggi eminente figura del Fronte nazionale degli scrittori, scriveva all'epoca (e ha ripubblicato questa cosa nel maggio 19..): «Venire a patti col nemico di ieri non è segno di debolezza ma di saggezza». E aggiungeva: «Sento in me illimitate possibilità di accoglimento». Non ho mai detto né creduto qualcosa di simile. Mi è sempre sembrato un limite, in particolare questa cosa dell'accoglienza, ed è proprio per rendere tutto meno penoso che ho seguito la politica che avevamo adottato. Più volte ho ribadito l'idea che la collaborazione aveva come conditio sine qua non la futura indipendenza della Francia. Scrivevo l'11 dicembre 1942: «Per noi tutto è subordinato alla condizione preliminare della durata e dell'esistenza della patria». E ancora: «Ci sono oggi dei bambini che non sanno ancora parlare e che tendono le loro manine verso di noi. Non vogliamo restituire loro una Francia di cui avranno vergogna».” L’AUTORE – Robert Brasillach, scrittore e critico francese, nasce a Perpignan il 31 marzo 1909 e muore fucilato, in seguito alla condanna a morte per collaborazionismo e "intelligenza con il nemico", al forte di Montrouge il 6 febbraio 1945. Dopo l'École Normale Supérieure collabora, dal 1930, con l'Action française di Charles Maurras. Scrive anche sulle riviste "Candide" e "La Revue française". Nel 1936, dopo l'incontro con Degrelle, Brasillach manifesta più chiaramente le proprie inclinazioni antisemite e comincia a collaborare col foglio filofascista "Je suis partout". Autore di romanzi, poesie e saggi, tra le sue opere si ricordano: Histoire du cinema del 1934 (scritta in collaborazione con Maurice Bardèche, col quale firmerà anche Histoire de la guerre d'Espagne, pubblicata da Plon nel 1939); del 1939 è il romanzo Les sept couleurs. Nel 1940, mentre è prigioniero di guerra in Germania a seguito della sconfitta francese, pubblica Notre avant-guerre e Bérénice ou la Reine de Césarée. Di ritorno in Francia nel 1941, si dimette da commissario del cinema e riprende il ruolo di caporedattore a "Je suis partout". Nel 1943 inizia a collaborare con "Révolution nationale" e nel 1944 pubblica Six heures à perdre e Quatre Jeudis. Poco dopo si consegna prigioniero e viene rinchiuso a Fresnes dove avrà modo di comporre Poèmes de Fresnes e Anthologie de la poésie grecque. Fino a poco prima dell'esecuzione della pena capitale lavora a Chénier che uscirà postumo nel 1947. Nel 2000 Alice Kaplan pubblica il saggio The Collaborator, che ricostruisce il caso giudiziario e politico di Brasillach. INDICE DELL’OPERA – Introduzione, Emanuele Trevi – Memorandum (Ritorno dalla prigionia - La disfatta - Il fascismo - Gaullisti e partigiani - I comunisti e i partigiani – Alleati - Rimpianti, fiori e corone) - Cronologia essenziale - Biografia di Brasillach – Appendice (La morte in faccia - Verbale dell' esecuzione - Intervista con Alice Kaplan - Intervista con Gisèle Shapiro) - Postfazione, Riccardo De Benedetti
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