Silvino Gonzato
Briganti romantici
Neri Pozza, pagg.256, € 18,00
IL LIBRO – Si sono dati alla macchia per combattere le ingiustizie di cui erano state vittime le loro famiglie, le comunità contadine che li ospitavano o loro stessi. Sono diventati briganti per caso, non per vocazione. Hanno fatto un fardello delle proprie illusioni e, da veri romantici, si sono rintanati nei boschi, convinti di poter combattere con le armi un mondo che ritenevano ingiusto. Qualcuno li chiamava criminali e banditi, altri briganti. Spesso, tuttavia, anche se molti di loro si dichiaravano anarchici, erano pover’uomini, analfabeti che non avevano fatto altro che reagire d’impulso ai torti di cui erano stati vittime; disperati che progettavano di far cadere tutti i potenti del paese, chiunque essi fossero. Questo libro racconta cinque storie di briganti, dal Seicento alla fine dell’Ottocento, che mai avrebbero pensato di darsi alla macchia se le loro vite non fossero state sconvolte da qualcosa di inatteso e irreparabile. Persone come Giovanni Beatrice (detto Zanzanù) che diventò bandito per vendicarsi della fazione rivale che aveva barbaramente giustiziato suo padre nella piazza del paese; come Antonio Tosolini (detto Menotto), friulano, che imbracciò l’archibugio per punire il conte che lo aveva licenziato e che pagava troppo poco i braccianti. E ancora briganti come Michelina Di Cesare, di Caspoli, nel Casertano, che raggiunse nei boschi un ex sergente borbonico di cui si era innamorata; come Giuseppe Mayno, fuggito per colpa della sparatoria da lui innescata in cui morirono due gendarmi, o Francesco Demichelis (detto il Biondìn) arrestato per omicidio volontario, dopo aver ucciso un rapinatore per eccesso di legittima difesa. Scritte col piglio del racconto d’avventura ma arricchite dalle splendide e rigorose ricostruzioni storiche a cui Silvino Gonzato ci ha ormai abituato, Briganti romantici è un affresco che, dal Seicento all’Ottocento, narra di gendarmi e soldati, sicari e spie, vagabondi e generali, e dell’avventuroso destino di coloro che sarebbero passati alla storia come briganti.
DAL TESTO – “Nessuno conosceva la sua età e chi tentava di dargliene una non rischiava mai di esagerare. Da parte sua l'unico punto di riferimento che concedeva era una battaglia contro i prussiani combattuta quando aveva vent'anni al confine con la Liguria che, però, a nessuno risultava ci fosse mai stata. Il suo ruolo nello stato maggiore della banda era puramente decorativo, non molto diverso da quello di un falco impagliato che assistesse alle riunioni legato a un trespolo. Se il Mandrogno aveva una cattiva fama, se l'era meritata ben prima delle imprese del vecchio Quirino, sul cui numero di taglie, tra l'altro, forse anche per gelosia, gli stessi briganti sollevavano dei dubbi. L’arrivo di Mayno, poi, non aveva fatto che rinverdirla in funzione antifrancese. Ma erano secoli che gli abitanti del Mandrongo erano ladri e contrabbandieri. “Discendendo dai pirati saraceni che la Repubblica di Genova aveva spedito al confino tra quei boschi, ne avevano mantenuto il sangue e non perdevano occasione per dimostrarlo. Non c'era carrozza che, attraversando la selva, non fosse assaltata e i suoi occupanti derubati. Chi si ribellava veniva impiccato a un albero e lasciato penzolare come monito per chi avesse preteso di sfuggire alla legge della Fraschetta. Mayno aveva vent'anni quando, sabato 14 giugno 1800, le cannonate di Marengo tra francesi e austriaci avevano ridotto i campi a una desolata successione di neri crateri, sventrato case e cascine, sbriciolato fattorie, distrutto intere famiglie, ucciso e disperso animali, polverizzato raccolti. Cominciata alle otto di mattina e finita alle undici di sera, la battaglia aveva sconvolto talmente il paesaggio da renderlo irriconoscibile. E quando, all'alba di domenica, Mayno uscì di casa con i genitori e i fratelli per vedere cosa ne fosse stato dell'unico campo che avevano, non lo trovarono più. Al suo posto c'era una montagnola formata dai terreni confinanti fatti volare lì sopra dalle cannonate, depositati l'uno sull'altro come gli strati di una torta. In cima alla montagnola, tra alcuni ciuffi di frumento anneriti, si ergeva sbilenco, ferito a morte, un ciliegio con alcuni rami ancora carichi di frutti che non si sapeva a chi appartenesse.”
L’AUTORE – Silvino Gonzato è giornalista e scrittore, editorialista del giornale «L’Arena» di Verona. Ha pubblicato tre romanzi tra i quali, con Neri Pozza, Il chiostro e l’harem (1997); raccolte di reportage e libri di satira del costume. Massimo biografo di Emilio Salgari, è autore di numerosi saggi sul romanziere, tradotti anche all’estero. Nel 1994 ha curato un’antologia di scritti giornalistici di Salgari e nel 1995, per la Neri Pozza, ha scritto la fondamentale biografia La tempestosa vita di capitan Salgari.
INDICE DELL’OPERA – Introduzione - Il giustiziere del lago. Giovanni Beatrice detto Zanzanù (1576-1617) - Il bosco dei carpini. Antonio Tosolini detto Menotto (1759-1794) - Limperatore delle Alpi. Mayno della Spinetta (1780-1806) - La notte dell'arcobaleno. Michelina Di Cesare (1841-1868) - Lultimo valzer. Francesco Demichelis detto il Biondìn (1871-1905) – Bibliografia - Immagini
|