L'Albania nel contesto balcanico Stampa E-mail

Julian Çota - Miranda Rira

L'Albania nel contesto balcanico tra la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Fredda
Prefazione di Roberto Valle


Edizioni Nuova Cultura, pagg.248, € 26,00

 

cota albania  Nel corso del Novecento, l'Albania ha ricoperto un ruolo cruciale nelle dinamiche geopolitiche della regione balcanica, particolarmente durante il periodo che va dalla Seconda Guerra Mondiale alla Guerra fredda. Il Paese, che ha sempre avuto una posizione strategica tra l'Europa e l'Asia, ha vissuto profondi cambiamenti a livello politico, economico e sociale. Nel contesto delle tensioni internazionali generate dalla Guerra fredda, l'Albania ha mantenuto una sua peculiarità, oscillando tra alleanze e conflitti, e sfidando la tradizionale influenza delle potenze occidentali e sovietiche. Tuttavia, la storia dell'Albania di questo periodo è stata in gran parte caratterizzata dalla politica interna di isolamento e dalla durezza del regime comunista sotto la guida di Enver Hoxha.

  La Seconda Guerra Mondiale segnò un periodo di forte instabilità per l'Albania, che dopo l'occupazione italiana (1939-1943) e la successiva dominazione tedesca (1943-1944), vide l'emergere di un governo comunista sostenuto dal Partito del Lavoro Albanese. La Guerra Fredda, per l'Albania, coincise con l'inizio di un periodo di radicale autarchia politica ed economica. L'isolamento del Paese divenne uno degli aspetti più distintivi della sua politica estera, in parte dovuto alla rottura dei legami con l'Unione Sovietica nel 1961 e alla progressiva dipendenza dalla Cina, prima che anche questo rapporto giungesse al termine negli anni '70.

  Un aspetto interessante e poco esplorato delle relazioni internazionali albanesi durante la Guerra fredda è il loro impatto sul contesto balcanico. Le tensioni tra le potenze occidentali e l'Unione Sovietica si riflettevano inevitabilmente nella regione, con la Grecia e la Jugoslavia a fare da cuscinetto tra le due sfere di influenza. Ma l'Albania, grazie alla sua politica indipendente, diventò un attore a sé stante, in grado di creare incidenti diplomatici con le potenze della NATO e non solo.

  Il volume di Julian Çota e Miranda Rira analizza la posizione dell'Albania durante gli anni più critici della Guerra Fredda, con particolare riferimento agli incidenti che segnarono le acque territoriali albanesi nel 1946. Gli Autori ci offrono una narrazione dettagliata di un periodo che ha visto l'Albania emergere come un attore scomodo sulla scena internazionale, spingendo i confini della diplomazia e della Guerra fredda nelle acque agitate del Mediterraneo orientale.

  Çota e Rira utilizzano un approccio basato su una vasta ricerca documentale per ricostruire il contesto degli eventi che hanno portato agli incidenti nel Canale di Corfù. La loro analisi si concentra non solo sui fatti, ma anche sulle implicazioni politiche, internazionali e simboliche di questi incidenti, situandoli all'interno della più ampia cornice della Guerra Fredda.

  L'incidente del 15 maggio 1946, quando le batterie dell'artiglieria albanese aprirono il fuoco contro due navi britanniche nel Canale di Corfù, segna l'inizio di una serie di fatti che culmineranno nel drammatico episodio del 22 ottobre dello stesso anno, con il danno provocato dalle mine al largo delle coste albanesi. Gli Autori analizzano questi eventi con una meticolosa attenzione ai dettagli, chiarendo le ragioni politiche e strategiche che spinsero l'Albania ad adottare una posizione tanto intransigente. L'idea di un "Canale di Corfù" controllato esclusivamente da Tirana si inserisce in una logica di autodeterminazione e di sfida alla potenza britannica, ma anche a un contesto regionale in cui la Guerra fredda aveva già cominciato a delinearsi come uno scontro tra blocchi. L'atteggiamento albanese rifletteva la volontà di non cedere a pressioni internazionali, mostrando un atteggiamento indipendente che si inseriva perfettamente nel clima di isolamento che caratterizzò la politica di Hoxha nei decenni successivi.

  Il contesto internazionale è fondamentale per comprendere le reazioni alle azioni dell'Albania: da un lato le potenze occidentali, che cercavano di mantenere l'integrità e la libertà di navigazione internazionale, e dall'altro il regime albanese, che vedeva nella difesa delle sue acque territoriali non solo una questione di sicurezza, ma anche un atto di sovranità nazionale e di affermazione del proprio potere.

  In questa lettura, l'incidente diventa anche un punto di riflessione sull'importanza delle potenze minori nel contesto della Guerra fredda, e su come queste potenze cercassero di affermare la loro identità e il loro spazio di manovra, anche a costo di sfidare le grandi potenze. L'Albania di Hoxha, in questo senso, appare come un esempio di una nazione che, pur trovandosi in una posizione periferica, cercava di ritagliarsi un ruolo significativo, seppur spesso in modo provocatorio e conflittuale.

  Il libro di Julian Çota e Miranda Rira mette in luce la complessità della politica estera albanese e il suo impatto sulle relazioni internazionali del periodo. La narrazione si distingue per l'accuratezza storica e per l'approfondimento delle dinamiche politiche interne ed esterne che hanno caratterizzato l'Albania nel periodo tra la Seconda Guerra Mondiale e l'inizio della Guerra Fredda. La lettura di questo volume aiuta a comprendere meglio la politica balcanica del XX secolo e il ruolo che l'Albania, pur essendo un piccolo Paese, ha giocato nel più ampio scacchiere geopolitico internazionale.

  La precisione delle fonti, l'approccio multidisciplinare e la capacità di mettere in relazione eventi locali con dinamiche globali rendono il libro di Çota e Rira un contributo prezioso agli studi di storia internazionale e balcanica.