Tra democrazia e rivoluzione Stampa E-mail

Luigi Giorgi

Tra democrazia e rivoluzione
La Democrazia Cristiana e la politica italiana nei giorni del golpe cileno
Introduzione di Agostino Giovagnoli


Guerini e Associati, pagg.216, € 22,00

 

giorgi democrazia  L'11 settembre 1973, il Cile fu teatro di uno degli eventi più emblematici della storia politica del XX secolo: il colpo di Stato militare che destituì il governo di Salvador Allende. Con un'azione rapida, l'esercito cileno, guidato dal generale Augusto Pinochet, rovesciò un'esperienza politica particolare per l'America Latina, quella della "via cilena al socialismo". Il golpe segnò la fine di un periodo di crescente polarizzazione sociale e politica.

  Tuttavia, gli effetti di quell'evento non si limitarono al Cile. In Italia, la notizia del rovesciamento del governo Allende suscitò una reazione profonda e un'intensa riflessione sul futuro della democrazia, a livello tanto nazionale quanto internazionale. L'Italia, infatti, era immersa in un contesto di forti tensioni politiche e sociali, segnato dalla Guerra fredda, dalle tensioni tra le forze politiche interne e dalle preoccupazioni per il possibile sviluppo di dinamiche golpiste nel Mediterraneo. Il golpe cileno fu quindi percepito non solo come un dramma per la democrazia cilena, ma anche come un segnale inquietante che sembrava richiamare l'attenzione sull'instabilità politica che poteva minacciare anche l'Italia.

  Il volume di Luigi Giorgi, "Tra democrazia e rivoluzione. La Democrazia Cristiana e la politica italiana nei giorni del golpe cileno", analizza in modo approfondito il dibattito politico e le reazioni del panorama italiano, concentrandosi in particolare sulla Democrazia Cristiana (DC) e sul suo ruolo nell'interpretazione e nella gestione della crisi cilena. Il libro offre una lettura ricca e dettagliata delle implicazioni interne ed esterne che segnarono quei giorni drammatici e propone una riflessione sulle risposte della classe politica italiana, in particolare della DC, al sorgere di nuove minacce per la democrazia.

  Giorgi contestualizza l'Italia del 1973, un Paese che viveva un periodo di crisi e di forti tensioni sociali. Il panorama politico italiano era caratterizzato da una situazione di stallo e di incertezze, alimentata da un forte antagonismo tra le forze di sinistra e quelle di destra, con un costante riferimento al rischio di "golpe" che pervadeva il dibattito pubblico. La Democrazia Cristiana, che deteneva la leadership della coalizione di governo, era da tempo il perno di un sistema politico che cercava di mantenere l'equilibrio tra le varie forze politiche, in un contesto segnato da una crescente polarizzazione.

  In questo scenario, l'eco degli eventi cileni non fu solo una preoccupazione per le potenze internazionali, ma rappresentò una sfida per l'Italia, dove la democrazia era spesso vista come fragile e minacciata. La reazione immediata della Democrazia Cristiana al golpe cileno è al centro della riflessione di Giorgi. Sotto la guida di Aldo Moro, che ricopriva la carica di ministro degli Esteri, la DC condannò senza esitazioni l'azione golpista, mantenendo saldi i legami con il Partito Democratico Cristiano cileno (PDC), pur nel contesto di alcune contraddizioni interne che segnarono il dibattito all'interno del partito stesso.

  Giorgi analizza in dettaglio il comportamento della DC in relazione alla crisi cilena, ponendo particolare attenzione al dibattito che si sviluppò all'interno del partito e alla posizione assunta dai suoi leader. Mentre la condanna del golpe fu unanime, la riflessione sulle cause del rovesciamento del governo di Allende fu più complessa e sfaccettata. La DC, infatti, non solo rifiutò la violenza del golpe, ma si interruppe in una riflessione sulle possibilità di evitare situazioni simili in Italia, in un periodo storico in cui la democrazia sembrava sotto attacco da più fronti.

  "Nostro compito in questa epoca è trovare nella democrazia un'alternativa alla rivoluzione e far sì che la democrazia non sia un alibi per la stagnazione sociale": con queste parole, Aldo Moro non solo tracciava una chiara linea contro il pericolo di una rivoluzione violenta, ma cercava di rafforzare la necessità di un rinnovamento democratico che rispondesse alle sfide sociali ed economiche del tempo. Questo pensiero si collocava in una più ampia riflessione sulla capacità della democrazia di affrontare le crisi interne senza ricorrere alla violenza e senza aprire la strada a forze antidemocratiche.

  La posizione della DC, tuttavia, non fu priva di contraddizioni. Mentre il partito condannava il golpe cileno, alcuni esponenti del PDC cileno, in particolare quelli legati a correnti più conservatrici, non nascondevano i loro dubbi sulla necessità di un intervento militare in Cile. Queste sfumature, che Giorgi ricostruisce con precisione, evidenziano la complessità della geopolitica dell'epoca e le difficoltà della DC italiana nel mantenere una linea coerente in un contesto internazionale così delicato.

  Oltre alla dimensione interna, Giorgi esplora con cura la dimensione internazionale della crisi, mettendo in luce il ruolo che la politica estera italiana, sotto la guida di Moro, cercò di giocare nella stabilizzazione della situazione. L'Italia si trovava in un delicato equilibrio tra le forze della NATO, che guardavano con preoccupazione agli sviluppi in Cile, e le dinamiche della Guerra fredda, che rendevano difficile prendere una posizione chiara senza tenere conto delle implicazioni internazionali.

  Dalle pagine del saggio emerge come la DC cercò di utilizzare la sua influenza per favorire il dialogo ed evitare che l'onda lunga del golpe cileno potesse portare a un'escalation che coinvolgesse altri Paesi europei o che alimentasse la polarizzazione politica interna, già pericolosamente alta. In questo senso, la politica estera di Moro e della DC mirava a preservare l'equilibrio tra le potenze e a consolidare il ruolo dell'Italia come attore moderato nell'ambito della NATO.

  La ricostruzione dei giorni successivi al golpe cileno, attraverso il filtro delle reazioni della Democrazia Cristiana, offre non solo una panoramica sulla complessità del dibattito politico italiano, ma anche una riflessione sulla natura della democrazia e sul suo rapporto con il rischio di crisi violente.

  Il libro di Giorgi si distingue per la sua capacità di intrecciare la storia politica interna con le dinamiche internazionali, e per la lucidità con cui affronta le contraddizioni e le difficoltà che caratterizzarono la risposta italiana al golpe cileno. Il saggio, quindi, non solo illumina un capitolo poco conosciuto della storia contemporanea italiana, ma fornisce anche spunti di riflessione di grande attualità sulla tenuta della democrazia in tempi di crisi.