La Jugoslavia crollò in miniera Stampa E-mail

Anna Di Lellio

La Jugoslavia crollò in miniera
Kosovo 1989: lo sciopero di Trepça e la lotta per l'autonomia


 Prospero Editore, pagg.242, € 18,00

 

dilellio jugoslavia  La fine della Jugoslavia, che si concretizzò negli anni '90, è uno degli eventi più drammatici e complessi della storia europea del secondo dopoguerra. La dissoluzione di uno degli Stati federali più noti del XX secolo non fu solo il risultato di una lunga serie di conflitti etnici e nazionalistici, ma anche di un impasse economico, politico e sociale che aveva radici profonde nella storia della regione. Una delle aree geografiche più segnate da questa turbolenza fu il Kosovo, una provincia a maggioranza albanese che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, aveva vissuto una serie di trasformazioni sotto il controllo della Jugoslavia socialista di Tito.

  Nel 1974, con la nuova Costituzione della Jugoslavia, il Kosovo ottenne un significativo grado di autonomia, che gli permise di gestire le proprie risorse, di avere una propria assemblea e di esercitare il diritto di autogoverno. Tuttavia, questa autonomia fu destinata a essere messa in discussione a partire dagli anni '80, quando le tensioni tra la maggioranza albanese e la minoranza serba aumentarono. Sebbene il Kosovo fosse parte della Repubblica Socialista di Serbia, la sua autonomia garantita dalla Costituzione del 1974 rappresentava una base legale per le rivendicazioni politiche degli albanesi kosovari.

  Negli anni '80, tuttavia, il governo centrale di Belgrado, sotto la guida di Slobodan Milošević, iniziò ad attuare un processo di centralizzazione che minacciava di annullare l'autonomia del Kosovo. La risposta delle autorità serbe, che vedevano nella crescente influenza albanese un pericolo per l'unità della Jugoslavia, fu di ridurre progressivamente i diritti politici e culturali della popolazione albanese. Questo culminò nel 1989 con una serie di emendamenti costituzionali che limitavano ulteriormente l'autonomia del Kosovo e ponevano le basi per una crescente discriminazione nei confronti degli albanesi.

  Il Trepça, il complesso minerario del Kosovo, che per decenni aveva rappresentato una delle principali risorse economiche della regione, divenne simbolo di questa battaglia. Fu lì, nel febbraio del 1989, che 1.300 minatori albanesi organizzarono uno sciopero che avrebbe segnato un punto di non ritorno nelle tensioni politiche e sociali tra albanesi e serbi. L'episodio dello sciopero dei minatori di Trepça, e la sua repressione violenta, rappresenta uno degli snodi cruciali della storia del Kosovo e della dissoluzione della Jugoslavia. In questo contesto di crescente repressione e disintegrazione delle strutture statali, il Kosovo si avviò a diventare uno dei principali teatri di scontro del conflitto che avrebbe travolto l'intera Jugoslavia.

  "La Jugoslavia crollò in miniera" di Anna Di Lellio cerca di illuminare una delle vicende più significative, ma anche meno conosciute, della fine della Jugoslavia. La testimonianza di Anna Di Lellio, che ha raccolto le voci di molti protagonisti dell'evento, tra cui i minatori stessi, fornisce una visione unica e dettagliata di quello che fu un atto di ribellione collettiva che andava oltre la protesta per la difesa di un semplice diritto lavorativo.

  Nel febbraio 1989, quando il regime di Milošević stava intensificando la repressione contro la popolazione albanese e limitando sempre più la sua autonomia politica, i minatori di Trepça decisero di lottare per quello che consideravano un diritto fondamentale: l'autogestione del loro lavoro e la difesa dell'autonomia del Kosovo. Lo sciopero di Trepça non fu, infatti, solo una protesta contro le modifiche costituzionali che minacciavano di togliere al Kosovo i suoi diritti, ma anche una manifestazione di un cambiamento profondo che stava avvenendo tra la popolazione albanese. I minatori, che per anni avevano lavorato nelle gallerie del complesso minerario, divennero così i protagonisti di una lotta che univa la difesa dei diritti sociali e il desiderio di autodeterminazione.

  Di Lellio fa un lavoro straordinario nel restituire le tensioni politiche e sociali del periodo, dipingendo un quadro in cui lo sciopero dei minatori di Trepça non fu solo una protesta sindacale, ma divenne un simbolo di resistenza contro un regime che stava cercando di cancellare l'autonomia del Kosovo. La narrazione del libro, arricchita dalle testimonianze dirette di coloro che vissero l'evento, rende vivo il racconto di quei giorni di sciopero, quando i minatori rimasero sottoterra per otto giorni e otto notti, determinati a non uscire finché le loro richieste non fossero state ascoltate.

  La protesta di Trepça non riuscì a ottenere i suoi obiettivi immediati, in quanto il governo serbo rispose con una dura repressione, licenziando i minatori e interrompendo ogni forma di dialogo con le istanze albanesi. Tuttavia, come sottolinea Di Lellio, lo sciopero fallì nell'immediato, ma divenne il catalizzatore di un movimento di resistenza popolare che avrebbe continuato a crescere nei decenni successivi, alimentando la lotta per l'indipendenza del Kosovo e contribuendo in modo significativo alla polarizzazione tra albanesi e serbi.

  Il contributo più significativo del libro risiede nella sua capacità di legare gli eventi locali di Trepça al più ampio processo di dissoluzione della Jugoslavia. L'Autrice esplora come, attraverso la repressione dello sciopero e il suo fallimento, si sia verificata una rottura insanabile tra le due principali etnie del Kosovo: albanesi e serbi. La risposta del governo serbo allo sciopero minatore fu il segnale di una frattura che sarebbe diventata irrimediabile, portando alla creazione di due universi politici e sociali separati. Di Lellio analizza come l'evento abbia avuto un impatto duraturo, alimentando la crescente sfiducia e risentimento tra le due comunità, e aprendo la strada alla guerra che avrebbe devastato la regione nei seguenti decenni.

  Il libro si distingue anche per il suo approccio multidimensionale: oltre alla dimensione politica, storica e sociale, l'Autrice dedica ampio spazio alla dimensione emotiva e psicologica della protesta e della repressione, dando voce a coloro che vissero quegli eventi come un trauma collettivo. La lotta dei minatori diventa così emblema di una lotta più ampia per l'autodeterminazione, per la dignità e per la speranza di un futuro diverso, non solo per il Kosovo, ma per tutta la regione balcanica.

  Con un linguaggio chiaro e una ricca analisi storica, Di Lellio riesce a restituire la complessità di un evento che segnò un punto di non ritorno nelle relazioni tra albanesi e serbi. Il libro, pur concentrandosi su un episodio locale, riesce a collocare il conflitto kosovaro all'interno di una cornice storica globale, mostrando come la lotta dei minatori di Trepça abbia avuto ripercussioni ben più ampie, che hanno influenzato la storia del Kosovo e l'intero processo di disintegrazione della Jugoslavia. La vicenda di Trepça e dello sciopero dei minatori albanesi rappresenta una chiave di lettura essenziale per comprendere i processi di radicalizzazione e le radici del nazionalismo che avrebbero dominato la politica della regione nei decenni successivi.