Noterelle desolate sul teatrino politico italiano |
Noterelle desolate sul teatrino politico italiano di Giovanni d'Angelo
Gentile Redazione di Archiviostorico.info, in questo anno in cui spira il primo decennio del XXI secolo credo vi siano tutti i sintomi di una fine indegna e, ritengo, poco "recuperabile" delle istituzioni repubblicane di questa tronfia, retorica (del politically correct), resistenziale, pasciuta (nelle sue alte e medie sfere) e desolatamente cafona Patria nostra. Non si tratta di prima o seconda o anche terza repubblica ma dell'intero sistema repubblicano varato 65 anni or sono e che mai ha realmente attecchito nella coscienza del nostro popolo. La Repubblica sta definitivamente mostrando tutta la corda del suo vizio d'origine: nata con i brogli e cresciuta alla meno peggio nel primo periodo grazie alla Guerra Fredda, le venne imposta una costituzione grondante nella sua prima parte retorica e falsa considerazione per i cittadini (anche questo evidente nel dettato che non vincola i rappresentanti del popolo al mandato elettorale). Una costituzione oggi iperdatata e comunque in alcuni suoi dettami spesso e volentieri disattesa. Si pensi all'avvizzito art. 11: oggi che una guerra fra Stati europei è più impensabile di uno sbarco di marziani sulla terra e lo Stato-Potenza in vigore fino a tutta la prima metà del Novecento e un tantino anche oltre (si ricordino le vive preoccupazioni italiane per la firma del Trattato di Pace riguardanti la fascia smilitarizzata di 20 km alla nuova frontiera con la Francia!) ha cessato la sua esistenza, l’art. 11 serve ormai solo come arma di polemica ideologica in mano alle Sinistre per intralciare le nostre missioni internazionali e le necessarie regole d'ingaggio, missioni le quali andrebbero semmai criticate sotto altri profili. Si pensi anche al dettame costituzionale sull'obbligatorietà dell'azione penale, oggi in realtà visto, come un optional a seconda della convenienza o meno da parte di molti magistrati inquirenti, spesso ideologicamente orientati. Quando poi non si tratta di pura e semplice pigrizia professionale, incoraggiata dalla oggettiva farraginosità della nostra procedura. Io l'ho sperimentata personalmente. Da una serafica magistrata della Procura di Roma alla quale chiedevo conto dell'archiviazione di un comprovato reato d'abuso d'ufficio e falso ideologico commesso da pubblici funzionari italiani all'estero mi sono sentito rispondere in tono commiserevole che per i reati commessi all’estero da italiani si perseguono solo quelli di omicidio, lesioni gravi e stupro. Lo stesso dicasi per l’art. 21 che notoriamente non viene applicato nei riguardi di quanti osano la pur minima critica verso un noto gruppo religioso (perfino le barzellette sono proibite!). E così la costituzione e il codice penale sono serviti a dovere! Il concetto della politica intesa come servizio alla comunità nazionale, concetto tanto caro all'Italietta liberal-sabauda, è ormai irriso come roba di tempi preistorici. Da destra all'estrema sinistra è oggi e non solo da oggi un raffa-raffa generalizzato. Tutti fanno i propri interessi, da quelli economici a quelli di carriera politica, financo a quelli sessuali (sia secondo che contro natura), per di più con un'arroganza e una sfacciataggine ancora impensabile negli anni cinquanta e sessanta. Il turpiloquio, anche da parte di alcune signore deputate e senatrici è diventato il "quanto basta" del condimento di ogni polemica politica, dal parlamento ai cosiddetti salotti dei talk-show. Mentre quel che resta della sinistra e del centro-sinistra è allo sbando ma tutti pulitini e tutti autoreferenziali, dietro l'orecchino di Vendola e l’ostracismo al congiuntivo dell'ex "normalista" fallito D’Alema poco o nulla s'intravvede se non il ricorrente velleitarismo unificatorio per far fuori Berlusconi. Però se Sparta piange, Messene non ride. Infatti sul lato opposto a dir poco fanno cadere le braccia. Al rosa cafonal della cravatta di Gianfry Fini e al suo entourage di liberti e sganascianti clientes, dove nemmeno manca uno squallido Marcello Petacci in sedicesimo, si contrappone desolatamente il Cavaliere con tutta la sua folta schiera di bellone, calendarizzate o meno, tutte sistemate a dovere alla faccia del vero merito. Tutte bellone (oh, ce ne fosse una con le fattezze di Rosy Bindi!) e tutte, secondo i compiacenti biografi, rigorosamente laureate con 110 e lode. Sì, ma si provi a domandare loro non cosa sia il tomismo ma più semplicemente di declinare il passato remoto del verbo cuocere e se ne sentirebbero delle belle! Quanto al merito, poi, un solo esempio per tutti. Per quali particolarità culturali, di studi e capacità Stefania Craxi è stata proposta e nominata sottosegretario agli Esteri? Atteso che il suo pacchetto di voti non dovrebbe essere di appetibile consistenza, non è per caso intuibile che questa invecchiata figliuola, fra l'altro affetta da visibile nevrosi, con tanto di eloquio sibilante e digrignar di denti quando ci si riferisce a suo padre, sia stata cooptata dall'ex socialista Berlusconi solo perché figlia del suo vecchio sodale e latitante Bettino Craxi? La recente visita in Italia dello psicolabile Predone libico (ha depredato perfino i defunti Italiani di Libia dei loro sepolcri!) ha fornito l'esatta visione di quanto il nostro Paese sia sceso in basso. È stato da ridere se non da piangere per la vergogna, vedere il capo del governo di Roma inchinarsi ad angolo retto e baciare la mano a un pagliaccio mandante di pluriomicidi in uniforme da direttore di circo equestre. Possiamo solo lontanamente immaginare un Sarkozy fare altrettanto?! Non è nemmeno mancato il tocco di prostituzione malamente mascherato, tocco di cui Berlusconi sembra ormai non poter più fare a meno, con una ventina di povere scimunite pagate 100 euro a testa per compiacere il Predone di Tripoli. E così la nostra dignità nazionale è stata defecata nel cesso di Berlusconi e poi è stato tirato lo sciacquone nell’avvisare gli italiani esterrefatti che chi non condivide sarebbe … prigioniero del passato e di schemi superati! Incidentalmente, questa commemorazione dell’Accordo italo-libico del 2008, con tanto di odalische all’amatriciana, lupercali e carosello dei carabinieri (ma che tristezza dover essere "nei secoli fedeli"!) dovranno le tasche di noi contribuenti sorbirsela ogni anno a venire qualora il Cavaliere dovesse riconfermarsi al governo? Quanto alla cosiddetta Lega Nord, anche qui c'è poco da stare allegri. Usando e abusando della qualifica di "destra", ma sarebbe pronta a tornare a sinistra se le fosse assicurato il federalismo fiscale, è ormai opinione diffusa che l’introduzione di questo finirebbe per portare a un aggravamento delle nostre già precarie finanze. Ma il peggio è che il progetto federalista è nelle mani, dopo la morte del professor Miglio, di un gruppo di persone scarsamente affidabili intellettualmente e politicamente, affetti da infantilismo di ritorno, (il dio Po, l’investitura a cavalieri di quattro avvinazzati con l’armatura). Si va dal sorriso un po' ebete del ministro Calderoli in braghe corte da bambinone deficiente a un ex avvocatino della Avon Cosmetici (unica fama quella di valente batterista e sassofonista) che fa il ministro dell'Interno, al cerimonioso sussiego del ministro Zaia dall'aria di capocameriere della vecchia Compagnia Internazionale dei vagoni-letto e del quale ci sfuggono i particolari titoli per essere ministro dell’Agricoltura. Intanto Bossi, che tuona tanto contro Roma ladrona, ha piazzato suo figlio, onde farlo meglio riposare dopo le estenuanti tre maturità (si badi, maturità di oggi!), alla Regione Lombardia con un mensile di 12.000 euro. Così questo ragazzotto, dal cui sguardo emana un’intelligenza che spettina, è la prova vivente dell'ingiustizia e del malaffare di questa supposta democrazia (formale sì ma non sostanziale) dove i ricercatori universitari o devono emigrare o devono accontentarsi di 1000 euro al mese. A cotanto erede fa da controcampo l'elegante polemica politica di Bossi senior, il quale riferendosi a Casini ha pubblicamente dichiarato "io a quello lì lo sotterro con una scoreggia". Gli ha fatto eco la signora, ora sottosegretario, Daniela Santanché che in un dibattito televisivo ci ha assicurato che lei "non la dà più". Menomale, altrimenti non avremmo potuto chiudere occhio la notte. E magari fosse solo questo. È tipico dei nostri politici d'oggi usare la più grande sfrontatezza verso i propri elettori. È una continua presa per i fondelli sfruttando il concetto di provocazione. Nulla di questo accade nelle altre classi politiche europee. Oggi il politico, non importa in quale sede, dichiara una cosa, dopodiché a seconda della reazione suscitata, smentisce dicendo che la sua "voleva essere solo una provocazione" oppure di essere stato "male interpretato" (anche quando ha detto che era giorno e invece era notte!). Hanno anche un altro modo per sfottere i cittadini elettori. È quello di basarsi sulla loro, purtroppo in ripetuta evidenza, scarsa memoria. Si cambiano, sia a destra che a sinistra, idee e casacche con la massima disinvoltura, in proporzione al confortevole calore della poltrona da occupare e al lauto stipendio che ne consegue, però senza sprecarsi a fornire la pur minima e impacciata spiegazione a quegli allocchi dei propri elettori. In ciò è emblematico il caso del sindaco di Roma Gianni Alemanno, il quale sfacciatamente ritiene che nessuno si ricordi cosa lui diceva nei comizi fino a tutto il l995 e un po’ anche oltre (anche a proposito dei pederasti). Solo giorni fa il caso del senatore Maurizio Gasparri (risus abundat…) che nella trasmissione In onda ha dichiarato di condividere la kippata di Gianfry a Gerusalemme e la definizione del Fascismo come "male assoluto". È chiaro che questo signore ritiene vi sia più nessuno che ricordi quando lui, poco prima di Fiuggi, si portava appresso il fotografo del Secolo d’Italia per immortalarlo mentre ridipingeva la parola "Mussolini" alla base del monumento al Bersagliere di Porta Pia. E che dire dell'ex picchiatore missino Roberto Menia? Per tenersi il sedere caldo a Montecitorio al guinzaglio protettivo di Fini, adesso posa a democratico benpensante. Anche lui crede vi sia nessuno che ricordi di quando nel '91 a Trieste affiancato dal camerata Fini incitava ad andare a bruciare il consolato iugoslavo (chi scrive era a pochi passi da loro). In barba al bipolarismo siamo in marasma di partiti e partitini (a proposito che fine ha fatto il partitino della "Rosa Bianca" di Tabacci, altro emerito del trasformismo?) e ciascuno di essi ogni anno celebra i suoi lupercali politici, trionfo del vuoto bla-bla. Nell'occasione amici e nemici si scambiano inviti a intervenire dal rispettivo palco, e poi tutti a banchettare. L'Italia è il solo paese europeo dove qualsiasi riunione o convegno della politica di qualunque livello finisce immancabilmente e non metaforicamente a tarallucci e vino. Si dirà che pagano i partiti, ma qualche dubbio è lecito nutrirlo! Si fanno feste di partiti, partitini e addirittura di correnti: uno potrebbe chiedere cosa diavolo poi, vista la spaventosa situazione, abbiano tanto da festeggiare. Mah? E di questa scuola montessoriana della politica nostrana naturalmente l'elettorato medio comprende ormai un bel nulla. Oggi si dice una cosa e domani la si smentisce, oggi si dice qualcosa di molto ruvido, magari anche fondatamente, e domani si chiede scusa. Nei giorni passati il balletto elezioni anticipate sì elezioni anticipate no è stato un altro specchio della degradata consistenza dei nostri politici. E gli esempi potrebbero continuare. Su tale torta ormai oltre la data di scadenza può mancare la classica ciliegina? Certo che no! La ciliegina è rappresentata dal senatore Giorgio Napolitano al Quirinale. Certamente, sul piano del formalismo personale non fa una grinza: è molto cortese, misurato, quasi regale con quella sua somiglianza fisica al compianto Umberto II. Ma nella sostanza? Questo signore, già (e oggi?) comunista della più bell’acqua, ha avuto bisogno della maestra di sostegno per arrivare a capire dopo 40 anni cos'era successo in Ungheria nel 1956. Quando addirittura un suo "compagno" con appena la terza elementare, il sindacalista Giuseppe Di Vittorio, lo capì nel giro di poche settimane. Pronto a richiamare chiunque al rispetto dei dettati costituzionali, lui li viola spesso e volentieri. Tutti ricordiamo il suo intervento a gamba tesa nel corso del consiglio dei ministri dove Berlusconi tentava di salvare la vita alla povera Eluana Englaro. Ad eccedere nelle sue prerogative costituzionali il senatore Napolitano non è mancato all'appuntamento nemmeno nell'apice del duello Berlusconi-Fini, dove sostanzialmente se ne è uscito con un intervento a favore del presidente della Camera invitando (perciò entrando nel merito!) il premier e i suoi uomini a cessare negli attacchi, attacchi principalmente diretti alla probabile parzialità dell'occupante quella carica istituzionale. Con Napolitano si assiste anche a un fatto curioso, oserei dire di nuovo tipicamente italiano. Egli sembra diventato la Madonna di Lourdes. Dalla Destra alla Sinistra, Lega compresa, è tutto un fare a gara negli elogi più sperticati. Anche quando ci si vuole arrischiare in qualche timida obiezione al procedere del Quirinale è comunque doveroso far precedere il tutto da un omaggio alla persona di Napolitano: quanto è bravo, bello e buono. È un must che ricorda l'invocazione alla Santissima Trinità con cui s'iniziavano le antiche procedure medievali. Peccato però che nulla di questo ricordiamo nei confronti dei defunti inquilini del Quirinale, i senatori Leone e Cossiga. Il primo coperto di continue contumelie ma poi risultato innocente di ogni accusa. Il secondo accusato addirittura di "alto tradimento" dal partito di Napolitano. Ambedue obbligati a dimettersi anticipatamente. Ambedue accademici di grido (ricordo con piacere il mio esame di diritto costituzionale in quel di Sassari nel remoto 1957 con l’allora assistente ordinario Francesco Cossiga), fronte ai quali sta il nebuloso titolo di avvocato del senatore Napolitano. C’è da chiedersi in cosa risieda tale dirompente fascino che tutti e tutto conquista: è per caso il fascino dell'ex (?) comunista o c’è dietro dell'altro? Tanto tempo fa l'indimenticabile Leo Longanesi si chiedeva "ci salveranno le vecchie zie?”. Ora che le vecchie zie sono defunte da tempo, non è forse il caso di chiedersi se il noto assioma che la democrazia, qualsiasi democrazia, è il meno peggio dei regimi possibili, sia ancora confacente a un'Italia che oggi si sta rivoltando nella melma? Vorrei chiudere queste desolate noterelle con due ricordi che risalgono a quando ero studente nel 1948 e nel 1952. Subito dopo l'attentato, Togliatti dal suo letto d'ospedale invitò il suo medico, il professor Spallone, a cercare di capire il gesto di Pallante e per farlo citò in latino un breve passo di Spinoza. Provate a immaginare Bersani o Bossi o Fini o Di Pietro fare altrettanto!... Nel 1952 si celebrarono a Roma i funerali solenni di Vittorio Emanuele Orlando, il Presidente "della Vittoria". Le ferite della guerra perduta erano ancora aperte e si coglievano palpabili perfino nell'aspetto fisico e negli abiti (tanti i cappotti rivoltati) delle persone assiepate lungo il percorso. Il Tiburtino presentava ancora occhiaie nei suoi edifici. La banda militare suonava la marcia funebre dell’"Eroica". Dietro il feretro, preceduti dal claudicante Luigi Einaudi, vestito di scuro e con lobbia in testa, venivano l'Ordine giudiziario e l'Ordine accademico dello Studium Urbis, tutti in toga, ermellino e tocco. Al gran completo la Corte di Cassazione che offriva di sé uno spettacolo di austera disciplina. Lungo tutto il viale Regina Margherita, con le truppe erano schierate le rappresentanze di tutti i Licei di Roma compresi quelli religiosi. I ragazzi in giacca e cravatta, alcuni anche con il gilè (altro che i bagonghi catenati e inanellati e orecchinati di oggi!), le ragazze in grembiule scolastico nero (altro che jeans, pancino scoperto e sul retro orlo di mutande a far capolino!). Era insomma un'Italia che, malgrado il dopoguerra, teneva e come! Di fronte allo squallore di oggi, è triste doverlo dire, non restano che i ricordi e la melanconia del loro dovere essere, come diceva Heine, il rifugio dell’anima. Giovanni d'Angelo
4 ottobre 2010 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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