Joshua Green
Il diavolo Steve Bannon e la costruzione del potere Postfazione di Giovanni Orsina
Luiss University Press, pagg.245, € 23,00
IL LIBRO – Nella notte di novembre in cui, Stato dopo Stato, la presidenza degli Stati Uniti finì nelle mani del più imprevedibile dei candidati, fu subito chiaro che, per assicurarsi la carica di uomo più potente del mondo, Donald Trump aveva fatto l'unica mossa che gli potesse garantire la vittoria: stringere un patto con il diavolo. Il diavolo aveva l'aspetto trasandato e bizzarro di Steve Sannon, fino a quel momento noto in patria soprattutto per dirigere il sito di destra 'Breitbart', e subentrato alla guida della corsa elettorale di Trump quando mancavano pochi chilometri all'arrivo e lo svantaggio da recuperare sembrava incolmabile. Steve Sannon, con una storia personale tanto avventurosa quanto improbabile e nessuna somiglianza con gli altri spin doctors presidenziali, aveva capito una cosa che nessun altro sembrava comprendere: in un mondo che non riconosce più la validità delle regole, seguire le regole non è più importante per vincere. "Il Diavolo – scrive Giovanni Orsina nella Postfazione - è la storia di due uomini di carattere, Steve Bannon e Donald Trump, che - sorretto il primo da un pensiero, il secondo da un istinto – sono riusciti a cavalcare l'onda di una crisi storica e hanno conquistato la poltrona politica più alta del mondo. Come in tutte le vicende umane, anche in questa naturalmente c'è moltissimo di casuale e contingente. E il libro di Green abbonda infatti di biforcazioni, di momenti nei quali sembrava che la candidatura Trump stesse finendo in catastrofe, e soltanto una mossa indovinata o un colpo di fortuna l'hanno rimessa in carreggiata. La ricostruzione non si ferma però agli alti e bassi della congiuntura, ma cerca di restituire il senso di qualcosa di profondo, di strutturale, sul quale i due uomini si sono potuti appoggiare nel dare la scalata alla Casa Bianca."
DAL TESTO – "Eppure Bannon non è una persona che serba rancore. E il suo allontanamento dalla Casa Bianca significò che finalmente sarebbe stato libero di perseguire un'ossessione che aveva covato per tutto il tempo in cui aveva lavorato per Trump, ma alla quale non aveva potuto dedicarsi mentre prestava servizio come alto funzionario del governo degli Stati Uniti: il riordino della politica europea. Bannon era convinto che la sconvolgente vittoria di Trump alle elezioni presidenziali del 2016 non fosse un fenomeno americano, ma parte di una rivolta della destra a livello globale che era iniziata in Europa, era stata decisiva per il voto della Gran Bretagna a favore della Brexit, e poi aveva terremotato la politica americana portando Donald Trump alla Casa Bianca. Questa rivolta, ne era certo, non era vicina alla propria fine. "È iniziata in Europa, si è diffusa negli Stati Uniti" mi disse Bannon "e ora si dirige di nuovo lì da dove è venuta". "Alcuni mesi prima, seduto nel suo ufficio della Casa Bianca a pochi passi dal presidente Trump, Bannon mi aveva confessato che desiderava essere coinvolto nelle elezioni francesi per conto di Marine Le Pen, la leader politica che si stava battendo per sconfiggere Emmanuel Macron. Bannon, la cui alta opinione di sé non aveva mai vacillato, era certo che se gli fosse stato permesso di gestire la campagna elettorale della Le Pen, lei avrebbe vinto. Ma naturalmente la sua posizione di capo stratega della Casa Bianca non gli aveva permesso di agire. "Ora Bannon era senza impedimenti, libero da ogni costrizione della Casa Bianca. E telefonava per farmi sapere che oltre alla campagna per Trump aveva tutte le intenzioni di dedicarsi alle questioni europee. La rabbia contro le "élite" che gestiscono l'Unione europea, gli attacchi del terrorismo islamico in tutto il continente e le ondate di immigrati che sconvolgono la politica interna dei Paesi dell'Unione come la Germania avevano convinto Bannon che l'Europa sarebbe stata ancora una volta l'epicentro per il populismo di destra che egli sperava di fomentare. Un Paese in particolare attirò il suo interesse, al punto che mi disse che intendeva visitarlo il prima possibile: l'Italia."
L'AUTORE – Joshua Green è corrispondente per Bloomberg e analista politico della Cnn. Ha collaborato con "The Atlantic" e come editorialista politico al "Boston Globe". Tra gli altri, ha scritto per il "New Yorker", "Esquire", "Rolling Stone", "Vanity Fair".
INDICE DELL'OPERA - "Stiamo arrivando." Steve Bannon e l'insurrezione europea. Prefazione all'edizione italiana - Prefazione alla prima edizione – Capitolo 1. "Servirebbe un miracolo" – Capitolo 2. "Dov'è il mio Steve?" – Capitolo 3. Bildungsroman – Capitolo 4. "Un modo pericoloso di concepire il mondo" – Capitolo 5. Nessuno costruisce muri come Trump – Capitolo 6. L'alternativa (estremista) ai fratelli Koch – Capitolo 7. Una valanga di inconscio maschile ferito e di aggressività – Capitolo 8. "Il traffico [web] è una cosa assolutamente oscena!" – Capitolo 9. "Populismo onesto" - Capitolo 10. Bruciare tutto – Capitolo 11. "L'FBI è venuta a conoscenza dell'esistenza di..." - Kali Yuga. Post scriptum - Ringraziamenti - Il problema di cavalcare la tigre. Postfazione, di Giovanni Orsina - Note |