Diario di Paganico |
Ferdinando Zucconi Galli Fonseca
IL LIBRO – «Fra pochi giorni dovrò affrontare la carica di procuratore generale. Ma stamattina, a un'enorme distanza, nel mondo del bosco dopo la pioggia, fra i suoi odori, mormorii e trasalimenti, estirpo rovi e libero tronchi dai viluppi delle vitalbe.» La responsabilità di alto magistrato (è stato Primo presidente della Corte di cassazione) non esaurisce vita e pensieri di Ferdinando Zucconi. La sua memoria è segnata dagli alberi e dalla natura quanto dalle responsabilità sociali e dai rapporti umani. È devota a una casa di campagna quanto al suo dovere di amministratore di giustizia. Ne sortisce un Diario irrequieto e vario, irriducibile alla consueta disciplina della memorialistica o dell'autobiografia, il cui bilancio è ancora pienamente aperto: non chiude i conti con la vita, con gli esseri umani, con gli affetti, con le delusioni e con le dispute. «Da molto vecchi, increduli di esserci ancora, si guarda intorno con occhi nuovi, bambineschi, dubbiosi. Si guarda e ci si meraviglia. Ci si stupisce di cose guardate mille volte con indifferenza.» La vivacità di questo libro è tutt'altro che senile. È in una scrittura accurata, riflessiva, eppure mai sentenziosa. Come se scrivere non servisse a dare delle risposte, ma a ridefinire continuamente le domande che contano. Scrivere di se stessi non per celebrarsi, ma per interrogarsi. Nella sua affettuosa prefazione un altro illustre vecchio, Andrea Camilleri, loda, dell'autore, l'ironia, che «percorre tutto il libro come un fiume carsico, la avverti scorrere sotterranea ma a un tratto esplode in superficie». L'ironia come antidoto alle lusinghe del potere? Zucconi è stato un uomo di potere, ma leggendo questo Diario si intende che non ne ha approfittato. Le domande più profonde – specie nell'ultima parte, dedicata al presente e alle riflessioni sulla vecchiaia e sulla morte – rimangono intere, non consumate. Non sono un peso, semmai una compagnia: anche per il lettore. DAL TESTO – "Fra i giornali che dettero notizia della mia nomina qualcuno mi definì magistrato «coraggioso». Ma bisogna intendersi su cosa significa avere coraggio. Io ho avuto, credo, quello che può definirsi coraggio passivo, la disposizione caratteriale che - in me senza merito - rende libero da ogni paura, preserva da ogni intrusione, induce a non piegarsi. Può valere, credo, la mia parafrasi delle parole di don Abbondio: «Uno, se il coraggio ce l'ha, non se lo può togliere!». Era anche, devo aggiungere, un coraggio facile da coltivare, nessuno - date le leggi protettive della Magistratura – potendo niente su di me. L'AUTORE – Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, nato e cresciuto a Camerino, è vissuto in Alto Adige, a Cortina d'Ampezzo, a Mogadiscio, e più a lungo a Venezia e a Roma. Entrato giovanissimo in Magistratura, ne è uscito primo presidente della Corte di cassazione. INDICE DELL'OPERA – Prefazione, di Andrea Camilleri - Diario con variazioni (Avvertenza - La casa - Il giardino - In vecchiaia - La famiglia - Alcune giornate - L'amico e il pallone col bracciale) - Self-portrait I e II (Self-portrait I - Self-portrait II - Magistrato. I primi anni - A Mogadiscio - A Roma, poi all'Aquila - In Cassazione - Utente di giustizia – Oggi) – Appendice. Piantare alberi |