John Wayne |
Anton Giulio Mancino
IL LIBRO – John Wayne, l'emblema stesso dell'eroe sul grande schermo, è un nome d'arte. Glielo diede Raoul Walsh sul set de Il grande sentiero. Era stato battezzato nel 1907 come Marion Michael Morrison, cui si aggiunse presto il soprannome di "Duke", con cui continuò ad essere chiamato durante tutta la sua lunga carriera di star, la più popolare e imperitura leggenda hollywoodiana che abbia mai attraversato la frontiera, incarnandone lo spirito selvaggio ed indomito, calzando i panni del rude e corpulento cowboy, dell'uomo d'ordine, sceriffo o poliziotto, del soldato ligio al dovere, dell'ufficiale rigido, responsabile e paterno. Segnando la storia del cinema americano con una serie di titoli memorabili, cui impresse i suoi tratti inconfondibili, le maniere risolute e sgraziate, è stato diretto dai più grandi e temuti cineasti. DAL TESTO – "La regola di vita del John Wayne cinematografico combaciava con le situazioni straordinarie ed estreme, in cui si rendevano indispensabili decisioni immediate, volontà, attitudine al comando e obbedienza. L'impazienza di agire o il bisogno di muoversi e fare, implicitamente, qualcosa per gli altri, anziché poltrire e contentarsi della tranquillità e del benessere raggiunti, erano l'essenza di un puritanesimo riveduto e corretto dal tramonto dell'orizzonte ottocentesco, dallo spettro della miseria, della Grande Depressione, dei totalitarismi e dei conflitti mondiali. Misantropo pistolero o militare di carriera, marito fedele o padre integerrimo, non poteva esimersi dal proteggere gli indifesi, liberare la città o la comunità da ribaldi e profittatori. Con la differenza che a cose fatte lui non abbandonava la scena, non scompariva dall'orizzonte. Restava lì, si integrava e assumeva un ruolo di spicco all'interno delle neonate istituzioni. Lo si ritrovava spesso nei panni del capo e dell'uomo d'ordine, dirigente, sceriffo o alto ufficiale. Se nei western classici la parabola dell'eroe selvaggio si esauriva alle soglie della civiltà e del matrimonio, il Duca al nuovo assetto aveva finito per aderire, anche se da irriducibile fuoriclasse, duro e intrattabile bastian contrario: mentre la legge sostituiva l'anarchia, inevitabilmente il suo orizzonte pionieristico si traduceva in sciovinismo e conservatorismo, ove la norma, giusta o errata, andava accettata e rispettata. L'AUTORE – Anton Giulio Mancino (Bari, 1968), laureato in lettere, saggista e critico cinematografico, collabora con "La Gazzetta del Mezzogiorno" e le riviste "Cineforum", "Cinecritica" ,"Bianco e Nero" e "Lo straniero". È autore del volume "Angeli selvaggi - Martin Scorsese Jonathan Demme" (Chieti, 1995). INDICE DELL'OPERA - American Wayne of Life - La conquista del set - Diretto da "Jack" Ford - Per il Duca e per la patria - Il rinoceronte è femmina, il maschio invecchia: cinque "western" di Howard Hawks - Le streghe rosse di Hollywood - Il mio regno senza un cavallo - Ricordati di Alamo - Lo spettacolo deve continuare - Dodge City, Vietnam - Gli ultimi urrà - Filmografia |