In principio fu la pubblicità |
Marco Maggio
IL LIBRO – Siamo davvero convinti di sapere tutto di quello spettacolo che chiamiamo pubblicità? Da mera leva di marketing, la pubblicità ha col tempo rivelato la sua natura più profonda, manifestando i caratteri onirici, religiosi e metafisici di un Sonno (Debord) che ci tiene sveglissimi, incollati allo schermo delle Meraviglie. Se Alice siamo noi, il Cappellaio Matto che uccide il Tempo è il pubblicitario di questo Sogno capovolto. «È sempre l'ora del tè»: è sempre l'ora della merendina, è sempre l'ora della proposta commerciale. Ma quando inizia, dove ha origine la pubblicità? Seguendo un replay interpretativo della genesi biblica, possiamo ricostruire una provocatoria genealogia della pubblicità che ci porta ad affermare che «In principio fu la pubblicità» e che alla domanda per antonomasia della filosofia, «Perché vi è l'essente e non il nulla?», ci fa rispondere «Anzitutto, perché l'essere è pubblicizzato». Il mestiere più antico del mondo non è quello che comunemente si pensa, ma quello del pubblicitario: ricordate il serpente del giardino edenico? Anche per questo, possiamo affermare che lo spettacolo pubblicitario è la ricostruzione mediatica dell'illusione religiosa; l'uomo, che si conferma essere un essere desiderante (di essere, e in particolare di essere Dio), è determinato da un limite («Non mangerai di quel frutto»): la pubblicità gli è oggi indispensabile per convincersi di poter andare finalmente oltre quel limite. D'altronde, nel paradossale spettacolo pubblicitario, noi siamo e tutto è «Senza limiti, senza frontiere» e «Tutto gira intorno a noi» perché «Noi valiamo», perché possiamo andare «Oltre il possibile». E «Per tutto il resto,» comunque «c'è Mastercard». DAL TESTO – "La divinizzazione è una metamorfosi compiuta che è stata pagata a caro prezzo: esattamente, il prezzo di aver dato un prezzo a tutto. Un prezzo al lavoro, un prezzo alla vita, all'amore; alla famiglia, all'arte, alla comunicazione stessa. Tutte le grandi realtà umane concorrono, sostenute dalle rispettive tifoserie, al traguardo agognato in questa finale maratona del denaro. Che dietro la significazione (ri)creata dai codici pubblicitari si celi una ben più temibile mistificazione dei significati autentici? Che si tratti di censura o di tautologia, la comunicazione pubblicitaria dei segni codificati, dell'ostentazione di senso e nesso economico con ogni sfumatura dell'abitare umano sulla Terra, la pubblicità gioca una partita ben più importante di quella che comunemente si crede le competa. Forse potremmo spingerci a sospettare che, in virtù di tale atteggiamento, gli stessi luoghi comuni sulla pubblicità siano da essa stessa creati e usati come topoi, per glissare il vero processo, per omettere le prove del reato, del vero delitto baudrillardiano della realtà." L'AUTORE – Marco Maggio è nato nel 1989 a Milano, città in cui vive e lavora. Finito il liceo classico al Collegio San Carlo, si iscrive all'Università San Raffaele dove si laurea prima al corso di laurea triennale in comunicazione, facoltà di psicologia, per poi completare gli studi accademici con la laurea magistrale in filosofia. "In principio fu la pubblicità. Critica della ragione pubblicitaria" è la tesi finale con la quale ha cercato di creare un'indagine coerente rispetto ai due diversi indirizzi di studio. Si occupa di comunicazione, costume e pubblicità collaborando con alcuni giornali, gestisce la rubrica Provox per diversi blog. Attualmente è impegnato in un nuovo progetto di scrittura. INDICE DELL'OPERA – La dittatura della pubblicità. Prefazione, di Diego Fusaro - Premessa dell'autore – Introduzione. Non resta altro mezzo per rimettere in onore la filosofia: si devono come prima cosa impiccare i pubblicitari - 1. La Struttura Originaria (1.1. Il debito della pubblicità - 1.2. Il Verosimile pubblicitario - 1.3. Senza parole) - 2. Alice allo Schermo. Tempo, Identità e Meraviglie della Pubblicità - 3. Dio è risorto. Genealogia della pubblicità: una visione d'insieme (3.1. Il Capitalismo Divino - 3.2. «I sogni son desideri di felicità» - 3.3. Conclusioni) – Postfazione, di Maria Angela Polesana - Bibliografia |