Giulio Bollati
L'invenzione dell'Italia moderna Leopardi, Manzoni e altre imprese ideali prima dell'Unità
Bollati Boringhieri, pagg.XIX-195, € 22,00
IL LIBRO – Alle grandi imprese sconfitte si rende onore soltanto se non le si celebra con il riguardo sepolcrale che le condannerebbe per sempre alla giacitura. Ciò che è irrealizzato attenta ancora – giudice silenzioso delle sorti che gli hanno voltato le spalle – all'ordine che invano cercò di scuotere e ricreare. Ma le sue ragioni perdute si impennano e scaldano gli animi a patto che qualcuno le tragga fuori dai recinti degli specialismi o dei clichés storiografici. Per questo la vicenda dell'Italia preunitaria e il lascito che ci ha trasmesso trovano in Giulio Bollati, editore e studioso, uno degli interpreti più congeniali. L'editore sensibile al minimo sintomo di convergenza tra saperi scientifici e umanistici procede al passo con l'italianista, a cui si deve l'anamnesi acutissima ed empatica del progetto di modernità che tra fine Settecento e metà Ottocento, in un vortice di idealità spesso dissonanti, cercò di aggiornare l'antica, esclusiva primazia italiana nelle lettere e nelle arti, aprendola alla società in mutamento. Spogliata degli orpelli risorgimentisti, sottratta all'abuso della retorica posteriore, la coppia di aggettivi morale e civile mostra qui una pregnanza quasi eversiva, che ambisce a cambiare il corso delle cose. Eversore e oltraggioso, agli occhi dei contemporanei, è il Leopardi antologista della Crestomazia, che da cinque secoli di prosa italiana «stacca» e «straccia» di furia brani inusitati, insidiando la maestà del Trecento a profitto dell'ingegnoso Galileo. Altrettanto radicale della ripugnanza leopardiana verso i sentimenti maneggevoli con cui liberali e moderati intendono plasmare la materia che si chiamerà Stato unitario è l'esonero dall'azione attorno al quale si arrovella il Manzoni tragediografo. Due posizioni affratellate nella marginalità. A quell'altezza tuttavia i veri soccombenti hanno già un volto, che la scrittura elegante di Bollati profila vividamente: gli illuministi lombardi, un gruppo di aristocratici fautori di una nuova validazione delle virtù nobiliari attraverso il perseguimento dell'utile pubblico. L'insuccesso della loro esortazione a rinunciare a «ogni idea di ceto», giacché «il ceto d'un uomo dabbene è il genere umano», non smette di ripercuotersi sull'oggi, dominato da caste che neppure il conte Verri avrebbe immaginato.
DAL TESTO – "Erede del fuoco alfieriano, Foscolo porta il classicismo profetico del maestro nel vivo della storia in atto. Non è uomo di potere, ma un letterato socialmente marginale e tendenzialmente d'opposizione. Il suo ruolo politico consiste nel trasmettere ad altri uomini come lui, non integrati, non funzionali o organici, il messaggio alfieriano diventato ora più preciso nel contesto storico dato: farsi campioni puri e disinteressati della libertà e dignità del proprio paese. Ne verrà una schiera di patrioti votati alla causa nazionale, o più generalmente alle lotte sociali e politiche, senz'altra aspettativa che non sia il senso del dovere compiuto, eventualmente la sconfitta e il sacrificio di sé. Per valutare l'importanza di questo radicalismo foscoliano basterà ricordare quanto debba al modello un personaggio come Mazzini. [...] "Messo a confronto con la situazione moderata con cui si misura, il foscolismo appare come un portato di eccentricità e di contestazione. L'alfierismo irrompe con Foscolo sulla scena di una Milano che il restaurato ordine napoleonico, accompagnato da riforme giuridiche e amministrative, ha restituito alla sicurezza delle sue strutture sociali e dei suoi costumi sia patrizi, sia popolari. Possidenti, notabili e dotti (come li denominava il Senato della Repubblica italiana) si uniformano non sempre senza riserve mentali, ma garantiti dal rischio di sovversioni dal protettore-tiranno. Ugo Foscolo ex giacobino (e fautore della legge agraria), soldato, erudito e scrittore geloso del glorioso patrimonio letterario del passato, si ritaglia la missione di vegliare a che libertà e virtù non siano cancellate dal despota francese e dalla soddisfatta pigrizia delle classi alte; e recita questa parte con trasporto infuocato, gesti vistosi, dichiarazioni estreme. Un osservatore come Giuseppe Pecchio, signore milanese imbevuto di saggezza moderata, oscilla tra ammirazione e ironia osservando - nel 1830 - il personaggio che ha invaso la città coi suoi comportamenti smisurati: «nulla v'era di moderato in Foscolo», in società «scalpitante, imperioso, irrefrenabile come un cavallo ambizioso alla corsa», più spesso cupo per infelicità o per neri presagi come il suo Jacopo Ortis."
L'AUTORE – Giulio Bollati (1924-1996), dopo gli studi alla Scuola Normale Superiore di Pisa, iniziò presso la casa editrice Einaudi il lungo tragitto che ne fece una figura di primo piano dell'editoria italiana, culminato nel 1987 nella guida della Bollati Boringhieri. All'attività editoriale affiancò quella saggistica: curò testi di Manzoni e Leopardi e opere collettive (con Luciano Gambi l'"Atlante della Storia d'Italia", 1976; con Carlo Bertelli "L'immagine fotografica, 1845-1945" degli "Annali della Storia d'Italia", 1979). Il suo libro "L'italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione" (1983) contribuì a cambiare l'autopercezione dell'identità nazionale.
INDICE DELL'OPERA – L'Italia di sempre e la sconfitta dell'Illuminismo, di Alfonso Berardinelli – Avvertenza – L'invenzione dell'Italia moderna (La Crestomazia italiana. La prosa di Giacomo Leopardi - La Crestomazia della prosa nel giudizio dei contemporanei - Storia della Crestomazia -Dettagli costruttivi - Il collage leopardiano – Appendice) - Le tragedie di Alessandro Manzoni - Vittorio Alfieri e la Rivoluzione francese - Alessandro Manzoni e la Rivoluzione francese - La prosa morale e civile (L'Illuminismo nobiliare - Una guerra letteraria - La rivincita dei generi nella letteratura e nella società - Idealità contro utilità - Leopardi copernicano - Patria e progresso) - Indice dei nomi |