La Sicilia e gli alleati |
Manoela Patti IL LIBRO – Il 10 luglio 1943 le armate americane e britanniche sbarcarono in Sicilia. «Chi vide approdare la grande armata – osserva Salvatore Lupo – ebbe l'impressione visiva, spaventosa e affascinante, di una forza irresistibile. Lo sbarco segnò la svolta nella guerra e quindi nella storia mondiale. Da qui le infinite rievocazioni dell'evento nei media, e le annesse mitologie: la Sicilia del'43 rappresenta tutt'oggi un luogo di straordinaria portata simbolica». Ed è proprio in virtù di questo mito che la memoria è intervenuta semplificando, appiattendo, cancellando le contraddizioni insite nello straordinario evento. I primi a essere cancellati sono i britannici: la memoria colloca quasi soli al centro della scena gli americani, sapendoli destinati a governare il mondo nuovo, nel bene e nel male. Le contraddizioni sono molteplici, ed è su di esse che il lavoro di Manoela Patti, sulla base di una ricca e dettagliata documentazione, intende far luce. La Sicilia fu il primo lembo d'Europa occupato dagli alleati, e come tale rappresentò un «laboratorio» in cui sperimentare un modello amministrativo da utilizzare poi su tutto il territorio italiano, ma condizionato ab origine da una sottile ambiguità: i soldati che sbarcavano in Italia erano nemici o liberatori? La stampa alleata paragonò le armate di Patton e Montgomery ai Mille di Garibaldi, ma l'impatto con la popolazione riportò presto il conflitto alla tragica dimensione dello scontro totale, in cui i civili sono coinvolti come e più degli eserciti. Il precoce dopoguerra dell'isola mise presto in luce l'ambiguità della good war combattuta per la democrazia. Invasori nel nome della libertà, gli alleati furono travolti dallo scarto fra la retorica dell'interventismo democratico e la realtà dell'occupazione. E in breve emerse l'assenza di una vera e propria politica di occupazione, demandata alle forze militari sul campo. Un ruolo significativo fu giocato poi da modelli e stereotipi di tipo culturale e razziale, sui quali pesò anche l'esperienza dell'emigrazione italiana negli Stati Uniti. In Sicilia, per la prima volta, queste idee si confrontarono con la realtà di una società complessa, affatto arretrata, e capace di opporre i propri modelli culturali, sociali e politici. Allo stesso tempo, l'emergenza bellica pose gli alleati davanti a un'altra fondamentale questione: la capacità di sostenere l'occupazione garantendo condizioni di vita accettabili alle popolazioni locali. La potente macchina da guerra alleata perse però queste sfide: la politica siciliana si riorganizzò da sé, anche grazie all'appoggio della pedagogia democratica alleata, e tra il 1943 e il 1945 l'isola fu attraversata da una fortissima conflittualità sociale scatenata dalle terribili condizioni di vita. Nonostante ciò, il mito dei liberatori andò consolidandosi proprio a partire da quel drammatico dopoguerra. DAL TESTO – "Se [...] l'Inghilterra mantenne un approccio di tipo «coloniale», e individuò i propri interlocutori nell'aristocrazia siciliana, e più in generale nelle élites locali, nel caso degli Stati Uniti la relazione «speciale» con la popolazione italiana, costruita a partire dagli anni della grande emigrazione ottocentesca, divenne la chiave per interpretare un «Sud» immaginato arcaico, arretrato e lontano. Anche dagli italo-americani. Non a caso, il presidente Franklin Delano Roosevelt articolò la propaganda bellica rivolta alla vastissima comunità italiana d'America proprio intorno al nodo dell'etnicità: italiani di prima e seconda generazione, accolti in nome della fedeltà alla nuova patria nel grande mosaico della nazione americana, vennero mobilitati per combattere per gli Stati Uniti una guerra «giusta», necessaria per liberare i propri fratelli d'oltreoceano dal giogo fascista che a tanto sfacelo li aveva condotti. Nell'America che si accingeva a conquistare l'Italia, la comunità italiana non era però più ai margini della società; gli immigrati di seconda generazione occupavano già importanti cariche politiche, e costituivano un importante serbatoio di voti. Così il primo governatore alleato della Sicilia, la Region I del Governo militare alleato, fu proprio un italo-americano: l'avvocato ed esponente politico dei circoli rooseveltiani newyorkesi Charles Poletti. Dopo la fondamentale esperienza siciliana, Poletti rimase una delle figure più rappresentative della «missione» democratica americana, e alleata, in Italia. Ma non fu il solo: molti italo-americani e siculo-americani, più o meno antifascisti, si arruolarono nell'esercito o nell'Oss." L'AUTRICE – Manoela Patti è dottore di ricerca in Storia contemporanea e collabora con l'Università di Palermo. Tra le sue pubblicazioni: "Relazioni mafiose. La mafia ai tempi del fascismo" (con V. Coco, XL Edizioni, Roma 2010). INDICE DELL'OPERA – Prefazione, di Salvatore Lupo – Introduzione - I. Verso lo sbarco. Riunione in Sicilia (1. The Good War - 2. La guerra italo-americana - 3. Il piano Montana - 4. Il piano Corvo - 5. Mezzogiorno immaginato - 6. Battaglia per l'egemonia) - II. Governare la Sicilia (1. 10 luglio 1943: sbarco in Sicilia - 2. La guerra in Europa: la Sicilia come laboratorio - 3. Il Governo militare alleato dei territori occupati - 4. Charles Poletti, il primo governatore della Sicilia - 5. Mafia e alleati dopo lo sbarco - 6. Separatismo) - III. Ritorno all'Italia (1. La Commissione alleata di controllo - 2. La Sicilia torna all'Italia - 3. I «granai del popolo» - 4. Black market - 5. Gli alleati e l'emergenza alimentare nella Sicilia occupata - 6. Gli zii d'America) - IV. Verso la fine della guerra (1. Vincere la guerra e perdere la pace? - 2. Un'isola in rivolta - 3. Non si parte! - 4. Withdrawal) – Ringraziamenti - Indice dei nomi |