Se Garibaldi avesse perso |
a cura di Pasquale Chessa Se Garibaldi avesse perso Marsilio Editori, pagg.120, Euro 12,00
IL LIBRO – Che cosa ne sarebbe stato della penisola italiana se l'impresa del 1861 fosse fallita? E se la diplomazia di Cavour avesse perso? E se Vittorio Emanuele II non fosse andato a Teano? E se Franceschiello avesse vinto? Nel momento in cui sembrava che il sentimento nazionale fosse oscurato da un diffuso opportunismo localista, abbiamo chiesto a sei grandi storici di mettersi alla prova della controfattualità: capire come sono andati i fatti confrontandoli con le alternative possibili e anche probabili. Giuseppe Berta, Emilio Gentile, Giovanni Sabbatucci dialogano sugli eventi del Risorgimento, che erano davvero appesi a un filo, mentre Luciano Cafagna, Franco Cardini, Mario Isnenghi nel loro racconto ipotetico assumono il punto di vista di tre protagonisti: Cavour, Francesco ii, Garibaldi. Il gioco si rivela ricco di sorprese e suggestioni per l'Italia di oggi e liquida i pregiudizi prodotti dalla «storia fatta con il senno di poi». Immaginare seriamente il destino di piccole Italie ha di per sé la conseguenza di rafforzare l'unità nazionale che è - come scrive il presidente Giorgio Napolitano, interprete del nuovo patriottismo - «l'autentico fine da perseguire». DAL TESTO – “La storia d'Italia molto più di quella di ogni altro paese si presta a una realistica storia controfattuale. Realistica, quindi basata sui fatti accaduti. Cerchiamo di capire, se avessero preso un'altra direzione, cosa ne sarebbe venuto fuori. Il Quarantotto, per esempio. Immaginiamo che, nel 1848, Carlo Alberto non perda ma vinca. Si anticipa così l'unificazione e si sarebbe potuta persino evitare la spedizione dei Mille, perché Carlo Alberto avrebbe potuto fare un grande regno monarchico liberale dell'Italia del centro-nord e quindi gli italiani che aspiravano all'unificazione si sarebbero sentiti appagati: voglio dire che non ci sarebbe stata la necessità di unificare l'intera penisola con una spedizione militare. Si può invece immaginare che sarebbe cominciata una competizione fra due Stati, 1'Italia del Piemonte contro 1'Italia delle Due Sicilie. C'era infatti nella storia della monarchia borbonica una vocazione a rappresentare in qualche modo 1'Italia intera. Immaginiamo allora che la ferrovia di Portici, la prima della penisola, si fosse sviluppata attraverso una vastissima rete ferroviaria meridionale grazie all'influsso illuministico di una monarchia liberale. In concorrenza con il nord si sarebbe potuto sviluppare nel sud, per esempio, tutta l'industria agricola, creando in Italia una sorta di California ante litteram. Il centro dell'Europa si sarebbe inevitabilmente spostato verso il Mediterraneo e sarebbe stato possibile che il regno borbonico progettasse con grande anticipo il taglio del canale di Suez. Non è successo però. Arriviamo perciò ai Mille. Ecco, i Mille sono un vero e proprio controfatto diventato realtà che nessuno poteva immaginare. Nessuno poteva prevedere che quei mille risalendo l'Italia sarebbero diventati cinquantamila. Nemmeno si poteva pensare che ci fossero giovani settentrionali disposti a sacrificarsi per il sud, per i quali l'Italia unita era un valore. Infine, inimmaginabile che tutto questo potesse avvenire senza che le grandi potenze trovassero il modo e le ragioni per intervenire a bloccare, nel sessanta, una nuova rivoluzione come quelle del trenta e del quarantotto. Andiamo avanti: immaginiamo ora che Garibaldi, con il suo fascino di Eroe dei due mondi, con il prestigio che godeva in Inghilterra ma anche negli Stati Uniti e in America Latina dove aveva combattuto, fosse riuscito a creare non un'armata di mille o cinquantamila uomini ma un grande esercito, capace di occupare prima della Sicilia anche la Sardegna, suscitando col suo esempio moti repubblicani in tutta Europa. E risalire l'Italia conquistando tutto il nord. Come in Francia dopo il 1848, col suffragio universale, Garibaldi sarebbe potuto essere il nostro Napoleone III. Garibaldi re d'Italia o presidente a vita. Più moderatamente immaginiamo invece che Garibaldi non consegni il regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele disertando Teano. O meglio ancora, lo consegna a una sola condizione: che le milizie garibaldine rimangano come un corpo separato dallo Stato, l'esercito di un nuovo partito garibaldino. Creando un partito armato ecco che Garibaldi, portando alle estreme conseguenze la sua aspirazione alla "dittatura" militare, avrebbe anticipato la nascita del fascismo. Garibaldi viene riconosciuto dalla monarchia che lo nomina presidente del consiglio e duce delle camicie rosse.” IL CURATORE – Pasquale Chessa (Alghero, 1947), giornalista dell'«Espresso», «l'Europeo», «Epoca», «Panorama», già docente di Storia dei fascismi in Europa alla Sapienza di Roma. Tra i suoi libri: Rosso e Nero (con Renzo De Felice), Italiani sono sempre gli altri (con Francesco Cossiga), Guerra Civile, Dux e L'ultima lettera di Benito (con Barbara Raggi). Attualmente collabora a «Reset», «il Fatto Quotidiano» e «La Nuova Sardegna». INDICE DELL’OPERA - Fratelli d'Italia..., di Pasquale Chessa - L'Italia fatta con i "se". Conversazione con Giuseppe Berta, Emilio Gentile e Giovanni Sabbatucci – Cavour. La versione di Luciano Cafagna - Francesco II. La versione di Franco Cardini – Garibaldi. La versione di Mario Isnenghi - ...l'Italia s'è desta, di Giorgio Napolitano
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