La politica estera dei governi Craxi |
Giulio Francesco Virduci La politica estera dei governi Craxi Gan, pagg.160, Euro 18,00
IL LIBRO – Nell'agosto 1983, il primo capo di governo di formazione socialista della storia dell'Italia repubblicana, Bettino Craxi, si insediava a Palazzo Chigi. Nei successivi quattro anni, segnati dalle tensioni della "seconda Guerra Fredda" e da varie altre "crisi locali", un inedito attivismo nel quadro delle relazioni internazionali dava vita ad un nuovo "profilo emergente" della politica estera nazionale. La diplomazia italiana cercava il riscatto da un periodo (la seconda metà degli anni Settanta) di "marginalizzazione" dai principali consessi internazionali, potendo finalmente agire in virtù di una maggiore "convergenza di opinioni" da parte degli attori della coalizione pentapartitica sui temi di politica estera. La strategia dei Governi Craxi: viene analizzata nei cinque campi d'azione delle relazioni internazionali all'epoca più importanti: alleanza atlantica; rapporto con il blocco d'oltrecortina; l'integrazione comunitaria; il bacino mediterraneo e la cooperazione allo sviluppo. DAL TESTO – “Già nel periodo che intercorre tra il congresso del MIDAS, in cui un Craxi allora quarantaduenne guadagna la fiducia sulla guida del partito, e la nomina a premier, è chiaro come il relazionarsi del garofano al quadro internazionale avrebbe dovuto liberarsi da un ingombrante bagaglio ideologico, facendo attenzione a non "mettere in soffitta" anche quelli che furono storicamente le fondamenta su di cui i più autorevoli compagni edificarono il socialismo in Italia. La sconfessione di ogni residuo di pensiero marxista, per quanto vecchia fosse di due decenni l'esperienza del frontismo, era la prima esigenza affinché venissero definitivamente sopite quelle «tendenze compromissorie» che la svolta dell'internazionale socialista aveva quasi, ma non del tutto, debellato. Un'esigenza maturata negli anni della propria adolescenza politica, quando, referente del PSI alle riunioni del Comintern si era reso conto, con esperienza diretta, di quale fosse il vero prodotto del «socialismo reale»; una nuova visione del socialismo dunque, poi in seguito "raffinata" negli anni in cui Palazzo Chigi si faceva, per un laico, sempre più a portata di mano. Il pacifismo, se naturalmente rientrava nell’insieme delle idee socialiste, non doveva confondersi con il neutralismo, mostratosi in passato gravido di conseguenze anche nella politica interna, e per il quale una marginalizzazione dallo spettro politico moderato (e, cosa ancor più grave, una emigrazione a sinistra con un ruolo subalterno al PCI) sarebbe stato inevitabile. L'amicizia con gli USA e l'appartenenza alla Alleanza Atlantica non erano in discussione, e men che meno era ostacolata dalla elezione del repubblicano Reagan, come per altro aveva dimostrato in Francia François Mitterand, un altro socialista; l'indipendenza nazionale e la concertazione tra tutti gli alleati doveva però essere preservata: e questi due punti furono citati, a mo' di pregiudiziale, proprio durante il proprio discorso di insediamento alla presidenza del Consiglio dei Ministri. La scelta atlantista aveva all'origine anche considerazioni ben più pragmatiche che quelle sopraelencate: l'ascesa a Palazzo Chigi non poteva certo prescindere dalle dimostrazioni di lealtà alla Casa Bianca, discorso ancor più valido se il papabile appartiene ad una formazione partitica laica e comunque più "sinistroide" della DC. In questo Craxi non mancò già da prima del dicembre 1979, quando, annunciando l'appoggio politico del PSI alla scelta dello schieramento dei Pershing e dei Cruise nelle basi italiane, «segnalò alla Casa Bianca di essere altrettanto atlantista che qualsiasi democristiano». La costruzione europea, costante del pensiero socialista già dagli anni sessanta, subisce un mutamento di rotta solo per l'abbandono di ogni velleità di farne una «terza forza»: un miraggio che avrebbe potuto distogliere l'attenzione dal Mediterraneo, teatro in cui le forze delle democrazie del vecchio Continente avrebbero dovuto focalizzare la propria attenzione nel favorirne il dialogo ed il negoziato, anche con l'invio dei militari italiani; e proprio le forze armate verranno citate nel discorso di insediamento come strumento per la messa in opera di «iniziative di pace nell'area mediterranea». La carta del Libano era sicura, essendo stata avallata la missione dai maggiori partiti italiani (incluso il PCI).” L’AUTORE – Giulio Francesco Virduci, è uno studioso delle relazioni internazionali, specializzatosi presso l'Università di Bologna. INDICE DELL’OPERA - Introduzione. Contesto politico interno - Capitolo Primo. L'Italia e il processo di integrazione europea - Capitolo Secondo. Rapporti Italia-USA - Capitolo Terzo. Il blocco orientale - Capitolo Quarto. Mediterraneo e Medio Oriente - Capitolo Quinto. Il Governo Craxi e il Terzo Mondo - Note e Bibliografia
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