Il senso del piombo Stampa E-mail

Luca Moretti

Il senso del piombo

Castelvecchi, pagg.127, Euro 12,50

 

moretti_sensodelpiombo  IL LIBRO – «Cosa vuoi fare nella vita?»; la scritta campeggia su un enorme manifesto della Scuola Radio Elettra, di fronte all’entrata di un’armeria romana. Gli anni Settanta sono agli sgoccioli, ma per un pungo di giovani pronti a tutto quel messaggio pubblicitario appare come semplicemente assurdo. Loro sono i guerrieri del nulla, i cavalieri senza sonno, non hanno in mente un chiaro progetto politico e persino i loro riferimenti ideologici sono ambigui: schegge impazzite di un anarchismo maturato in seno all’isolamento della Destra convenzionale e destinato ad esplodere nelle strade delle città italiane. Questi sono i protagonisti di un fenomeno tutto nuovo ribattezzato con il nome di “spontaneismo armato”: giovani protetti da nomi di battaglia che uccidono e vengono uccisi mentre un’intera nazione precipita in un intreccio di trame oscure, segretamente intessute da spregevoli soggetti al soldo dello Stato. Ambientato in un periodo compreso tra il rogo di Primavalle e l’arresto del “Tenente”, capo dei micidiali “guerrieri del nulla”, Il senso del piombo costruisce un’intensa narrazione epica, metafora palese di un’Italia oscura e violenta, dove chiunque può stringere un’arma e fare fuoco per manifestare la sua rabbia, facendosi ribelle, carnefice e, irrimediabilmente, pedina del sistema.

  DAL TESTO – «Mi chiedete chi è Carlos Reutemann, se esiste un'organizzazione dietro questa sigla. Rispondo no, non è stata la sigla di un'organizzazione unica, con organi dirigenti, con capi, programmi e riunioni periodiche. Non esiste un'organizzazione che abbia questo nome e che sia comparabile alle Brigate Rosse o a Prima Linea. Non esiste nemmeno un livello minimo di organizzazione. Ogni gruppo armato che si è formato anche occasionalmente nel nostro ambiente, fosse anche per una sola azione, ha potuto usare questa sigla. D'altra parte non c'è stato modo per impedirlo. Mi chiedete se siamo o siamo stati fascisti, vi rispondo che i fascisti del dopoguerra non sono mai esistiti e che candidamente qualcuno può solo aver pensato, o per meglio dire immaginato, di essere fascista. Di Mussolini non me n'è mai importato niente: non ho mai pensato che fosse una gran persona. Quando sentivo dire: "Uccidere un fascista non è reato" non pensavo al Duce o al Ventennio, ma all'unica persona fascista che conoscessi, mia madre. Ci siamo semplicemente schierati da quella parte che ritenevamo essere più debole, numericamente inferiore, contro un Sistema oppressivo e soffocante. Abbiamo interiorizzato l'immagine un po' parodistica del camerata che fa le cose solo perché i superiori gli dicono di farle. In numero ancora più ristretto abbiamo seminato la disobbedienza tra quelle fila, abbiamo pensato di poter cambiare il mondo con la forza, abbiamo distrutto la nostra vita e quella di molte altre persone per questo».

  L’AUTORE – Nato a L’Aquila nel 1977, Luca Moretti vive e lavora a Roma. Fondatore della rivista “TerraNulliius”, dirige i corsi di scrittura creativa organizzati dalla cooperativa sociale Agorà e cura la collana di narrativa minimale “Microlit” (18:30 edizioni). Tra i suoi libri, oltre al romanzo Cani da rapina (Purple Press, 2009), il graphic novel Non mi uccise la morte, sceneggiato per le matite di Toni Bruno e pubblicato dalla Castelvecchi (2010).