Troppo umana speranza Stampa E-mail

Alessandro Mari

Troppo umana speranza

Feltrinelli, pagg.752, Euro 18,00

 

mari_troppo  IL LIBRO – Prima metà del diciannovesimo secolo. Sullo sfondo di un'Italia che non è ancora una nazione, quattro giovani si muovono alla ricerca di un mondo migliore: un orfano spronato dalla semplicità che è dei contadini e dei santi; una donna, sensi all'erta e intelligenza acuta, avviata a diventare una spia; un pittore di lascive signore aristocratiche che batte la strada nuova della fotografia; e il Generale Garibaldi visto con gli occhi innamorati della splendente, sensualissima Aninha.
  Siamo di fronte a un'opera che si muove libera nella tradizione narrativa otto-novecentesca – europea e americana. Racconta, esplora documenti, inventa, gioca e tutto riconduce, con sicuro talento, a un solo correre fluviale di storie che si intrecciano e a un sentimento che tutte le calamita.

  DAL TESTO – “Il tramonto non è lontano, l’aria marzolina eppure già di primavera. L’orizzonte è di pianura, largo, le Alpi lo serrano a settentrione e altrove c’è soltanto cielo. Spira un alito di vento, inclina i pennacchi che si levano numerosi dai campi e dalle corti, e dappertutto si ode risuonare secco il crepitio dei falò appena avviati. Era il dì di San Giuseppe, e il fumo saliva da fiamme che divoravano tutto ciò che i paesani davano loro in pasto, che fossero stoppie o fascine umide, finanche la manciata di polvere rimasta sul fondo di macine e frantoi. S’incenerivano vecchi stocchi di frumentone e bucce di castagna, sterpaglie e ciocchi torti, perfino i rametti durati all’ultima sfogliatura dei gelsi. Certi ragazzetti col moccio sull’orlo del naso s’industriavano a rubare qualche chicco e nonostante la minaccia d’un manrovescio lo gettavano tra le fiamme, tappandosi le orecchie per via del fragoroso scoppiettio; vivaci, allora, le risate si fondevano coi rimbrotti e con le invocazioni ripetute allo sfinimento. Si purificava la terra col fuoco affinché s’avverasse una stagione buona, e a incrociare ogni compaesano si avvertiva il medesimo, speranzoso mugugno di preghiere: che i focolai di colera si spegnessero prima che si ripiombasse nei giorni cupi; che la masnada di tugnìt austriaci e tedeschi – e croati, che i croati “son brutte bestie” – se ne tornasse a casa propria ad angariare qualche Asburgo anziché la gente del borgo; che la vecchia schiantasse sfuggendo a nuove pene; che la fulva s’arrendesse a imboscarsi nel fienile; che là sotto il marito ormai svilito tornasse duro come una volta; che ul Tempesta, fabbro da schiaffoni duri come grandine, non se ne avesse a male per quel carico guastato. E che san Giuseppe mandasse pioggia il giusto e un’estate da non soffocare nell’afa, e che Iddio garantisse il raccolto, mica che si morisse di fame come l’anno andato, che i pozzi erano asciutti e così le rogge, senz’acqua i prati e le spighe smilze, e i castagni, le viti, i gelsi, tutto sciupato, le bestie senz’alimento, coi muggiti famelici che squassavano le stalle, magri pure i bachi da seta...”

  L’AUTORE – Alessandro Mari è nato nel 1980 a Busto Arsizio. Si è laureato con una tesi su Thomas Pynchon. Ha cominciato giovanissimo a lavorare per l'editoria, come lettore, traduttore e ghostwriter.

  INDICE DELL’OPERA - Parte prima. In tre passi - Parte seconda. Il buonsenso della carne - Parte terza. L'anima stanca - Nota dell'autore - Ringraziamenti