Foibe. L'ultimo testimone |
Graziano Udovisi Foibe. L'ultimo testimone Aliberti editore, pagg.139, Euro 12,00
IL LIBRO - Nella frazione di un secondo si è visto costretto a decidere della sua vita. Se stare fermo e finire ammazzato sotto i colpi della mitragliatrice, oppure saltare giù e morire all'istante nel baratro. Era il 14 maggio 1945 quando l'ufficiale comandante istriano Graziano Udovisi venne trascinato dai partigiani titini sull'orlo della foiba di Fianona per essere trucidato. Scampò alla morte per miracolo, liberandosi i polsi dal fil di ferro e risalendo in superficie da una cavità di circa trenta metri. Prodigiosamente riuscì a salvare un altro commilitone compagno di sventura, afferrandolo per i capelli. Furono i soldati nemici a costringerlo a marciare scalzo sul bordo di quel crepaccio: una punizione per aver tratto in salvo a Capodistria, su una motobarca, i suoi soldati ricercati dalle truppe slave. Questo libro è la testimonianza del calvario di un italiano sopravvissuto alle foibe. La sua odissea, terminata dopo due anni di prigionia con l'accusa di collaborazionismo con i tedeschi, s'intreccia con digressioni sui risvolti sociopolitici della guerra. Attraverso il ricordo, Udovisi ripercorre i giorni del carcere, le torture subite, i crimini consumati sotto i suoi occhi, la fuga. I flashback degli orrori bellici si dipanano in un lucido excursus che copre quattro anni di storia: dall'8 settembre 1943 al settembre 1947, quando Udovisi viene liberato a Civitavecchia senza neppure la carta di rilascio. Tormentato dai fantasmi del passato il sopravvissuto s’interroga sul senso d’italianità perduto, sull’iniquità di una guerra che ha combattuto in nome dell’amore per l’Italia, sui rapporti a suo dire “deviati” fra una parte della magistratura e i responsabili delle stragi di italiani. Quella di Udovisi è una ferita che non cessa di sanguinare, una testimonianza ancora viva che inevitabilmente farà discutere. Ma resta una voce preziosa, l’ultima, che squarcia il lungo silenzio imposto dalle vicende politiche su un controverso capitolo della nostra storia, un ricordo doloroso che ha un prezzo troppo caro: le migliaia di vittime delle foibe.
"Il respiro si è affievolito e non si sente un lamento. In quel momento fanno il loro ingresso nella stanza due ufficiali, uomo e donna, con i gradi luccicanti. Ci guardano e la donna esclama: «Avanti il più alto», ma nessuno si muove. Lei avanza verso di me e strattonandomi per i capelli mi fa incedere, poi estrae la rivoltella dal fodero e con il calcio mi colpisce con forza sulla mandibola sinistra, che cede letteralmente facendomi spalancare completamente la bocca. "Gli altri prigionieri vengono messi dietro di me in fila indiana, uniti da un lungo fil di ferro che parte dal mio braccio sinistro, passando sotto il gomito di ciascuno di noi per poi congiungerci all'ultimo prigioniero, il quale, però, è riverso a terra svenuto. Il partigiano operante chiede infatti: «E dove lo lego il fil di ferro, dato che quest'uomo non sta in piedi?»".
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