Massimalismo e crisi dello Stato liberale. Nicola Bombacci (1879-1924) |
Serge Noiret Massimalismo e crisi dello Stato liberale. Nicola Bombacci (1879-1924) Edizioni Franco Angeli, pagg.608, Euro 33,57
A Piazzale Loreto, accanto ai corpi esanimi di Mussolini e della Petacci, di Pavolini e Barracu, giaceva quello di Nicola Bombacci. Fondatore del Partito comunista d'Italia nel '21, Bombacci aderì alla Repubblica Sociale Italiana, svolgendo un ruolo non secondario nella stesura del manifesto di Verona del Partito Fascista Repubblicano. Fu, come si può notare, un personaggio decisamente singolare, atipico, e assai inviso ai marxisti ortodossi che, non a caso, condannarono il "comunista in camicia nera" (come ebbe a definirlo Arrigo Petacco in un bel saggio di qualche anno fa) alla damnatio memoriae. Su Bombacci la bibliografia scientifica è tutt'altro che abbondante. Tra i pochissimi volumi, si segnala questo saggio del prof. Serge Noiret, che - ancorché non recente (uscì nel 1992 per i tipi delle Edizioni Franco Angeli) - rappresenta l'unico studio serio e affidabile sulla prima fase della vita del "Lenin di Romagna" - dal 1879 al 1924, l'anno della rottura con il partito comunista (ufficializzata peraltro nel 1927) - e riporta alla luce aspetti della sua attività ignorati dalla storiografia. Nella Presentazione del libro, il prof. Roberto Vivarelli scrive che l'Autore raggiunge con questo documentatissimo lavoro "due risultati di notevole significato: quello di offrire una puntuale ricostruzione della vita del personaggio Bombacci e dei tempi in cui visse fino al fascismo; e quello di gettare nuova luce sulle vicende del massimalismo e sulla parte che esso ebbe nella storia del movimento operaio e nella storia d'Italia. Si potrà naturalmente dissentire, sul piano del giudizio, da affermazioni specifiche presenti nel discorso di Noiret, ma non si potrà prescindere per la comprensione delle questioni qui affrontate della somma di conoscenze nuove e criticamente accertate, che questo lavoro pone a disposizione di tutti. Per un'opera di storia, questo è ciò che più conta". Nei primi capitoli del libro, dedicati alla formazione politica e alla militanza sindacale, Noiret rende conto della "fragilità del bagaglio culturale di Bombacci che, fortemente pervaso dal socialismo evangelico, non possedeva certamente una formazione marxista, come, d'altronde, il marxismo era estraneo alla tradizione del socialismo delle campagne italiane. La componente di 'romagnolità' di questa cultura, benché difficilmente quantificabile", non deve essere sottovalutata. Essa è presente "nelle varie opere che furono lette dal Bombacci, come quelle di Giosuè Carducci, di De Amicis o nei discorsi di Andrea Costa stesso, di Enrico Ferri o di Amilcare Cipriani". Il 1918 rappresenta l'anno in cui Bombacci assurse a un ruolo di primo piano all'interno del partito socialista, diventandone segretario politico. "Purtroppo - osserva l'Autore - la storiografia senza eccezione alcuna è convinta che Bombacci passò l'anno 1918 in carcere dopo aver subito una condanna per merito del decreto Sacchi. Invece, venne giudicato a piede libero e fu lui, quando tutti, da Lazzari a Serrati, erano stati incarcerati, a dirigere il partito verso il massimalismo insieme a Morgari e Bacci". Come accennavamo poc'anzi, Bombacci, nel 1921, fondò il partito comunista "pressato da Mosca e con l'aiuto dell'Internazionale comunista". Anche in questo caso, la storiografia tende a sottovalutare il suo ruolo decisivo. "Egli - spiega l'Autore - non pensava di trovarsi poi emarginato nel Comitato Esecutivo del nuovo partito e di rappresentare la minoranza della minoranza di destra durante gli anni difficili dell'offensiva fascista. Egli rappresentò la corrente più moderata e realistica del nuovo partito, pronta a tutto, anche all'accordo con D'Annunzio, con i sindacalisti ex interventisti e anche con le forze democratiche e con Nitti stesso, per impedire il dilagare del fascismo. Dopo la sconfitta della sua linea politica ed il suo tentativo, nel 1923, insieme a Misiano, di impadronirsi del Comitato Esecutivo del partito, Bombacci continuò a giovarsi del sostegno dell'Internazionale e dei sovietici, per poter sopravvivere durante i primi anni del fascismo. La politica sovietica dal 1920 in poi, non tenne conto degli interessi dei partiti alleati e delle necessità della cosiddetta 'rivoluzione mondiale', bensì di quelli nazionali dello Stato sovietico. In ciò Bombacci si piegò totalmente alle volontà dei dirigenti sovietici e particolarmente a quella di Zinoviev con il quale mantenne, dal 1920, un contatto regolare in opposizione a Bordiga". L'ideale di Bombacci era rappresentato "da un socialismo sentimentale e da sogni utopistici legati ad un'ipotetica "età dell'oro", da palingenesi visionarie e da un disegno di rifondazione globale di una vecchia società di notabili in una nuova società di massa. In rotta con il vecchio sistema di potere dell'Italia liberale, egli non riuscì mai ad accontentarsi dell'integrazione delle masse nello stato tramite l'eguaglianza politica - anche se non economica - che il suffragio universale avrebbe permesso. Egli visse così una delle interpretazioni del sogno collettivo del socialismo rurale emiliano-romagnolo, un sogno cinrollabile negli albori di un mondo nuovo, più giusto e più eguale, che secondo lui, si costruiva con il diffondersi delle organizzazioni politiche del PSI in un mondo borghese e democratico destinato a scomparire e non con l'accettazione delle realtà riformiste delle cooperative e della politica municipalista". "Il suo travaglio umano e politico - aggiunge l'Autore - fu certamente intenso. Era persuaso di dovere compiere una missione: mantenne durante tutta la sua vita un temperamento apostolico e missionario. Bombacci consumò la sua esistenza in una ricerca sterile e vana, approssimativa e sconclusionata, confusa e pericolosa, di un assoluto dai contorni ambigui, che la realtà, ma soprattutto la sua realtà, smentì sempre. Se la sua condotta di uomo pubblico merita comunque interesse, durante gli anni 1921-1922, essa incute anche rispetto. Non sono riuscito tuttavia ad evitare di dare un giudizio negativo complessivo sulla sua personalità politica e sulla cultura ideologica e massimalistica dell'epoca". |