Emily S. Rosenberg
In un mondo sempre più piccolo Le correnti transnazionali dal 1870 al 1945
Einaudi, pagg.256, € 23,00
Questo saggio di Emily S. Rosenberg (docente di Storia presso l'Università di California, Irvine) ricostruisce il ruolo esercitato dalle correnti sociali e culturali transnazionali nel processo di globalizzazione tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento.
Nell'epoca presa in esame, le reti globalizzanti "si formano in Europa occidentale nel cui contesto si assiste alla costruzione di nazioni e imperi e a una crescente egemonia economico-culturale. Le nazioni e gli imperi erano spazi, formatisi essi stessi attraverso reti di vario genere, che cercavano di regolarizzare e tracciare gli spostamenti di persone, merci e idee".
Cominciarono a svilupparsi le «istituzioni internazionali» di recente formazione, che "scaturirono in primo luogo da un impulso euro-americano che cercò di dare al mondo la forma di un insieme di paesi «sviluppati» che potessero indirizzare e proteggere i loro imperi mentre usavano istituzioni cooperative per diffondere una morale universalistica occidentale. L'internazionalismo molto spesso si presentava sotto forma di progetto occidentale", ma "le sue visioni contenevano anche molte variazioni che ispiravano movimenti in diverse direzioni, inclusi i nazionalismi collegati all'anticolonialismo".
La Prima guerra mondiale giocò "un ruolo importante di fattore decisivo per l'internazionalismo", spazzando via "l'ottimismo prebellico": "molti leader politici euro-americani ritenevano che le guerre nazionalistiche fossero i resti di un passato meno illuminato e che l'imperialismo e l'internazionalismo avrebbero infine sollevato il globo a un'era di condivisione di «civiltà» e progresso".
Inizialmente la guerra parve "rafforzare le posizioni le posizioni di coloro che sostenevano la necessità di nuovi meccanismi internazionali per dirimere le dispute in modo pacifico. L'idea di una Società delle Nazioni rappresentò la fede internazionalista, emersa agli inizi del XX secolo, che le democrazie capitaliste liberali, le benevole amministrazioni imperiali e gli enti internazionali potessero tutti insieme promuovere un sistema che avrebbe civilizzato il resto del mondo e diffuso delle norme universalmente accettate".
Il presidente statunitense Wilson fu l'interprete più importante della "costruzione di una pace postbellica attraverso un federalismo mondiale basato su norme giuridiche internazionali. La sua visione di ordinamenti di sicurezza collettivi e di «autodeterminazione» dei popoli che avrebbero posto un freno ai nazionalismi aggressivi e alle rivendicazioni etniche ebbe una vasta influenza a livello globale. Le speranze di Wilson erano comunque cariche di contraddizioni. Il paese da lui governato non avrebbe mai aderito alla Società delle Nazioni, sebbene quell'organizzazione sia legata per sempre al suo nome e il suo concetto di autodeterminazione si sia poi rivelato penosamente limitato".
L'Autrice spiega che la Seconda guerra mondiale, al pari della Prima, "da un lato ridusse le interconnessioni globali ma dall'altro contribuì anche a diffonderle. La grande depressione e la marea montante del nazionalismo autarchico e di blocchi regionali avevano indebolito le istituzioni dell'economia globale ma, per molti, la guerra sottolineò anche la necessità di ricostruire un sistema globale funzionante. Il primo ministro britannico Winston Churchill e il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt si incontrarono a bordo di una nave da guerra nelle acque di Terranova (agosto 1941) e sottoscrissero un accordo, noto come Carta Atlantica, che enunciava i principî per gli obiettivi internazionalisti del periodo postbellico. Avallando misure – come diminuzione delle barriere commerciali, cooperazione economico-sociale globale, libertà di navigazione, disarmo e una pace giusta – la Carta esprimeva posizioni internazionaliste correnti. Entro pochi mesi, tutte le «Nazioni unite» dell'alleanza bellica accettarono i principî della Carta. Mentre la guerra proseguiva, l'esigenza di costruire vincoli transnazionali di ogni genere divenne ancor più impellente per tutti i belligeranti: l'accesso alle materie prime si dimostrò essere di importanza strategica fondamentale in tutto il mondo così come lo fu la possibilità di mantenere funzionanti i sistemi globali dei trasporti e delle comunicazioni. Inoltre, l'enorme mobilitazione di persone in tempo di guerra – sia per lavorare che per combattere – allontanò milioni di individui dalle loro case facendo loro conoscere nuovi paesi e nuove culture. Gli internazionalisti del periodo tra le due guerre potevano ancora sperare in una ricostruzione postbellica di un ordine mondiale funzionante, ed esistevano allora molte versioni di cosa, in particolare, l'internazionalismo avrebbe dovuto portare avanti". |