«Giudaica perfidia» Stampa E-mail

Daniele Menozzi

«Giudaica perfidia»
Uno stereotipo antisemita fra liturgia e storia


il Mulino, pagg.247, € 22,00

 

menozzi giudaica  IL LIBRO – «Preghiamo anche per i perfidi giudei», così recita nel venerdì santo il Missale romanum di Pio V, pubblicato nel 1570, sintetizzando l'immagine degli ebrei nella liturgia latina. Stanno qui le radici di uno stereotipo antisemita che le traduzioni in volgare dei testi liturgici introiettano nella mentalità cattolica. Ma dal tardo Settecento la cultura cattolica comincia a interrogarsi su questo «insegnamento del disprezzo» trasmesso dal culto pubblico e ufficiale della chiesa. Gli eventi culminati nella Shoah avviano poi un decisivo confronto con la storia, portando a un riesame del rapporto con gli ebrei. Lo testimoniano tormentati rifacimenti della preghiera del venerdì santo da Giovanni XXIII fino ai nostri giorni.

  DAL TESTO – "Nel composito mondo tradizionalista - formato non solo da gruppi scismatici, ma anche da componenti che operavano all'interno della comunione romana - il richiamo alla liturgia postridentina del venerdì santo costituiva insomma un elemento decisivo, per ribadire un antisemitismo che trovava nel sintagma della «giudaica perfidia» la sua espressione emblematica.
  "Sotto questo profilo il pontificato di Giovanni Paolo II rivelava tutta la sua ambiguità. Non si può certo sottovalutare l'impulso dato dal pontefice al miglioramento delle relazioni con gli ebrei. Basta ricordare la visita alla sinagoga di Roma del 1986; il riconoscimento vaticano dello stato d'Israele avvenuto nel 1993 - un atto politico, ma con ovvie implicazioni religiose -; l'impegno a rimuovere dall'insegnamento cattolico le persistenti tracce di antisemitismo; la promozione di una preghiera in cui si riconosceva la responsabilità, se non della chiesa, comunque di membri della chiesa nella sua diffusione. Ma non si deve nemmeno dimenticare che il papa ha anche favorito la reintroduzione di quella liturgia postridentina che l'antisemitismo aveva alimentato: era certamente una rilegittimazione sottoposta a rigide condizioni, ma aveva comunque consentito la manifestazione – da parte dell'autorevole prefetto della Congregazione per la dottrina della fede - del singolare convincimento che un'espressione del culto preconciliare, in cui si ritornava a proclamare la «giudaica perfidia», costituiva una realizzazione del Vaticano II. Al riparo di queste oscillazioni e ambiguità era poi fiorita una letteratura tradizionalista, fortemente impregnata di antisemitismo, che, appoggiandosi alla liturgia postridentina, ne amplificava implicazioni e significati antisemiti attraverso la rielaborazione del deposito culturale dell'intransigentismo e dell'integrismo."

  L'AUTORE – Daniele Menozzi insegna Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Con il Mulino ha pubblicato: «Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti» (2008) e «Chiesa e diritti umani. Legge naturale e modernità politica dalla Rivoluzione francese ai nostri giorni» (2012).

  INDICE DELL'OPERA – Premessa - I. «Giudaica perfidia» e liturgia romana (1. La preghiera per gli ebrei nel rito postridentino - 2. Dal latino al volgare, dal clero al popolo) - II. «Perfidi», «ciechi» o «infedeli»? (1. I primi tentativi di riforma nell'Italia giacobina e napoleonica - 2. La rielaborazione della «giudaica perfidia» nella cultura intransigente dell'Ottocento - 3. L'irruzione del metodo storico-critico nella liturgia - 4. Filosemiti e antisemiti nel primo dopoguerra) - III. Tra condanne e concessioni (1. La censura romana del 1928 - 2. La difficile resistenza delle ragioni della storia - 3. Davanti ai totalitarismi - 4. Dopo la Shoah - 5. Le prime concessioni) - IV. Dalla storia al sacro (1. La riforma di Giovanni XXIII - 2. Una falsa preghiera - 3. Il rinnovamento liturgico montiniano - 4. Le ambiguità della linea di Giovanni Paolo II - 5. Il pontificato ratzingeriano: un tentativo di ritorno al sacro) – Conclusioni - Indice dei nomi