Dario Pedrazzini
La vita quotidiana dei Longobardi ai tempi di re Rotari
Angelini Editore, pagg.88, € 19,00
IL LIBRO – Quando i Longobardi nel VI secolo giunsero in Italia, non trovarono praticamente alcuna opposizione da parte della popolazione, che probabilmente li considerava l'ennesima invasione provvisoria di un popolo migrante, di passaggio, come molte altre in precedenza. Al contrario le istituzioni e l'esercito dell'Impero Romano d'Oriente, per i quali l'Italia era ormai solo una provincia periferica da sfruttare, a causa degli onerosi tributi e della soffocante burocrazia risvegliavano nella popolazione italica un sentimento di profonda sfiducia e risentimento. Nel 595 papa Gregorio Magno si lamentò con le autorità romano-bizantine del fatto che in alcune zone le richieste di giudici ed esattori erano così irragionevoli che i proprietari terrieri cercavano di passare dalla parte dei Longobardi. Nel complesso scenario politico-culturale seguito al collasso dell'Impero, lo stanziamento dei Longobardi ha da una parte sottratto l'Italia all'opprimente amministrazione bizantina e all'influenza del Mediterraneo orientale, favorendo involontariamente quel processo attraverso cui la Chiesa di Roma si è resa indipendente dalla Chiesa d'Oriente, dall'altra ha respinto ai confini nordorientali dell'Italia le invasioni di Àvari e Slavi, popoli appartenenti al mondo delle steppe, ponendo così in modo definitivo la nostra penisola tra le nazioni dell'Europa Occidentale. L'obiettivo del volume di Dario Pedrazzini è quello di affrontare questo periodo storico attraverso lo studio della vita quotidiana e della mentalità dell'Italia longobarda, aiutando il lettore a entrare in maggiore intimità con un'epoca tanto decisiva nel determinare il destino dell'Italia, quanto poco conosciuta. In particolare, il periodo del regno di re Rotari è una fase importantissima del processo di transizione dal mondo tardo-antico a quello più propriamente medioevale, in cui la componente etnica longobarda e quella italica iniziano quel processo di reciproca integrazione che porterà alla formazione dell'identità nazionale italiana. Strumento preziosissimo e insostituibile allo scopo di conoscere la realtà di quel tempo è appunto l'Editto di Rotari, il primo codice scritto delle leggi longobarde, fatto redigere per volontà del re nel 643. Esso non è solo una compilazione astrattamente giuridica, è la conferma mediante un testo scritto dei capisaldi dei principi giuridici della nazione longobarda, conservati attraverso secoli di migrazioni dalla memoria degli anziani - gli antiqui homines di cui si parla sia nel prologo sia nell'epilogo dell'Editto - e applicati alla realtà storica italiana del VII secolo, al fine di portare pace e coesione nel regno. La struttura stessa dell'Editto, basata su casi concreti e non operante per principi astratti, consente di collegarci con grande immediatezza alla realtà quotidiana di quel periodo. A questo eccezionale documento si affiancano le testimonianze dei dati archeologici, dei documenti pubblici e privati, nonché lo studio della Storia dei Longobardi scritta nell'VIII secolo dallo storico longobardo Paolo Diacono.
DAL TESTO – "L'ideale dell'uomo libero longobardo era quello di dedicare la propria vita all'esercizio delle armi, essendo la guerra l'attività che caratterizzava gli appartenenti alla classe degli arimanni. L'agricoltura, invece, era un'occupazione che, per i Longobardi, non si addiceva all'uomo libero. «Non si dedicano all'agricoltura e la maggior parte del loro vitto consiste in latte, formaggio e carne» scrisse Giulio Cesare dei Germani. I Longobardi preferivano, una volta insediatisi in Italia al posto dei possessores romani, che fossero gli aldi e i servi ad occuparsi della coltivazione dei campi. "Si mangiava tre volte al giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera; il pasto principale era quello della sera, quello meno importante era quello di mezzogiorno, che equivaleva a una specie di spuntino per spezzare la giornata, un po' come succede ancora oggi in diversi paesi del Nord Europa. Dividere un pasto con qualcuno conferiva una particolare intimità e vicinanza, infatti in questo periodo nasce il termine companio "compagno", che letteralmente indica chi mangia lo stesso pane. Un esempio del valore del condividere la stessa mensa è dato dai gasindi, le guardie del seguito del re, che vantavano il raro diritto di sedere a tavola con il sovrano. "Per quanto riguarda i piatti, la maggiore differenza rispetto alla cucina dei romani, era rappresentata dai fondi di cucina, cioè dalle preparazioni che costituiscono la base dei piatti e che si ottengono dalla cottura prolungata di elementi nutritivi ed aromatici: per i romani essi erano a base di olio di oliva, mentre nell'Italia longobarda i fondi di cottura erano a base di grassi animali, per lo più provenienti dal maiale, cioè il lardo e lo strutto. Il lardo era anche considerato un compenso in natura per i lavori pesanti, infatti sappiamo che nel VII secolo ai magistri commacini venivano corrisposte dieci libbre di lardo come parte del salario."
L'AUTORE – Dario Pedrazzini, laureato in Storia Antica, è alla sua prima pubblicazione. Dopo aver fatto esperienza nel mondo dell'archeologia, attualmente insegna. Si occupa di rievocazioni storiche, antiche e moderne, e di archeologia sperimentale.
INDICE DELL'OPERA – Prefazione, di Manuela Catarsi – Introduzione - L'editto di re Rotari - Lingua e scrittura - La società nell'Italia Longobarda - Il territorio - La città - L'alimentazione - L'abbigliamento - Tempo di guerra e tempo di pace - La ruota del tempo - Religione e credenze - Bibliografia |