Malaparte come me Stampa E-mail

Orfeo Tamburi

Malaparte come me

Le Lettere, pagg.110, € 14,00

 

tamburi_malaparte  IL LIBRO – Curzio Malaparte fu un personaggio fuori del comune: grande scrittore sempre al centro della scena artistica, politica, culturale e mondana, legò il suo nome non solo a capolavori come Kaputt e La Pelle, ma anche a una vita vissuta con intensità eccezionale all’insegna di contraddizioni e polemiche. Personalità complessa ed enigmatica fu, di volta in volta, fascista intransigente e oppositore del regime, strapaesano e novecentista, cortigiano e frondista, sempre, comunque, protagonista e testimone delle grandi tragedie del Novecento. Fra coloro che lo conobbero a fondo e lo frequentarono a lungo vi fu il pittore Orfeo Tamburi, che collaborò con lui curandone la rivista Prospettive e illustrandone molte opere. Il sodalizio fra i due, che si conobbero nel 1937, durò praticamente fino alla morte di Malaparte. Nei suoi ricordi, scritti con grande immediatezza e con gusto dell’aneddoto, Tamburi descrive – son parole sue – «Malaparte com’era e come pochi lo hanno conosciuto» perché «con gli altri spesso recitava o, meglio, si divertiva a mascherare la realtà che, forse, trovava troppo piatta».

  DAL TESTO – “E ora mi ricordo un episodio tipicissimo sul Malaparte di cui tanto ho detto e che a nessun costo vuol tirare fuori il suo portafoglio. Siamo ancora al tempo di «Prospettive», e in via Gregoriana, dove s'era trasferito dopo il largo Sallustiano: la rivista era mensile, pochi fogli di carta gialla polenta, e io, per ogni numero, facevo a mano col pennello i titoli. Verso sera, Malaparte era sempre alla ricerca di qualcuno per non restare solo; il giorno spesso non mangiava, aveva poi l’abitudine della siesta, lavorava il pomeriggio, ma, venuta sera, veniva pure il problema di come risolvere questa sera, aveva bisogno di non star solo, e se non era invitato, cercava come farsi invitare. Io lavoravo a fare e rifare le mie copertine e, senza volerlo, ascoltavo le sue telefonate, capivo che stava cercando, fra amicizie e conoscenze, qualcuno con cui cenare - «Sei un traditore! Non sei un amico!» - e così per ore, non la finiva più ma evidentemente tutti erano impegnati. Finalmente attaccò con un certo Mazzetti, noto spilorcio piemontese, che da qualche mese aveva ereditato milioni dal padre: il« gobbetto», come lo chiamavano, perché piccolo, con una spalla tutta di traverso; uno strano tipo dal cervello complicato da problemi sessuali e velleità poetiche, come tanti piemontesi che ho conosciuto. Aveva stampato un libretto di poesie e Malaparte, senza per niente adularlo, incoraggiava le sue vanità poetiche, certo pensando ai milioni ereditati. Orbene, anche lui, Mazzetti, quella sera era impegnato, diceva «Non posso, non so come liberarmi», e allora Malaparte, a un tratto: «Ma lascia tutto, ti invito io, vieni con noi, ci sarà anche Tamburi, ti dico che sei invitato». Insomma, il gobbetto promette, l'aspettiamo, e quando arriva, evidentemente in appetito, domanda subito dove andiamo a mangiare. Malaparte decide di andare dal Bolognese, ottimo e caro: se in una trattoria normale spendevi mille lire, là ce ne volevano due o tremila. C'incamminiamo, era d'estate, con i tavoli fuori sulla Piazza del Popolo, non c'era ancora il traffico bestiale d'oggi: e là, ti sentivi davvero bene, a guardare il Pincio sopra con le sue luci fioche, ti sentivi a Roma, ammiravi Roma, noi tre che poi eravamo stranieri, non romani. Io non rischiavo nulla, m'ero accodato a loro perché sollecitato, non era un mio problema, e quattrini del resto non ne avevo. Mangiamo e beviamo tranquillamente, il tempo passa, e Malaparte seguitava a raccontare le sue storie, il ristorante si svuota a poco a poco, e lui non la smette di raccontare poiché aspetta che il gobbetto paghi la cena. Senonché, costui non ci pensava affatto, era invitato. I camerieri stavano rientrando i tavoli, uno sopra l'altro rovesciati, all'interno spegnevano le luci, io cominciavo a sentire tutto il disagio della situazione, quando, senza che nessuno l'avesse chiesto, arriva il conto e il cameriere lo mette al centro della tavola, fra Malaparte e il gobbetto. Io ero stanco di quell'interminabile cena, ma mi venne subito una voglia matta di ridere: Malaparte continuava a raccontare, e sotto sotto spingeva il piatto del conto verso il gobbetto; e questi, dapprima non se ne accorse, poi capì le manovre di Malaparte e, a sua volta, spinse il piatto verso di lui. Il piatto andava avanti e indietro e io mi divertivo un mondo, sapevo che Malaparte era deciso a non pagare, vedevo i camerieri che aspettavano e che pure loro indovinavano la commedia. E Malaparte era capacissimo di commedie simili, capacissimo soprattutto di cavarsela vittoriosamente. Infatti, a un certo momento, interrompendo la storia che stava raccontando, mette il piatto sotto il naso del gobbetto, con un brutale: «Ma paga, porco avaro!» e a me: «Adiamocene, Tamburi». Sollevato, lo seguii, mentre il povero gobbetto piemontese dava mano al portafoglio. E, qualche passo più in là, Malaparte gli grida: «Io vado con Tamburi da quella parte, Buona notte ». E pianta l'altro senza badarci più.”

  L’AUTORE – Orfeo Tamburi (Iesi 1910 – Parigi 1994) è stato un grande pittore formatosi nell’ambiente della cosiddetta «scuola romana» ma di sensibilità cosmopolita. Il suo linguaggio artistico caratterizzato da calde intonazioni cromatiche sviluppato soprattutto nei ritratti e nelle vedute urbane gli assicurò un successo internazionale. Stabilitosi a Parigi nel 1947  sviluppò, accanto all’attività pittorica, un intenso lavoro nei campi della scenografia e della illustrazione di libri e riviste.

  INDICE DELL’OPERA – Prefazione, di Francesco Perfetti – Malaparte come me