Imperi delle steppe Stampa E-mail

Aa. Vv.

Imperi delle steppe
da Attila a Ungern Khan


Centro studi "Vox Populi", pagg.291, € 19,00

 

aavv imperidellesteppe  Questo volume monografico, impreziosito dalle illustrazioni di Francesco Iacoviello, raccoglie i contributi di diversi storici e orientalisti – da Franco Cardini a Pio Filippani Ronconi, da Aldo Ferrari a Ermanno Visintainer, da Erdenesukh Purev a Claudio Tessaro De Weth – che conducono il lettore verso "la fruizione d'una storia tanto significativa quanto sorprendente".
  Visintainer prende in esame la letteratura delle "popolazioni altaico-turaniche che hanno dominato gli orizzonti degli spazi eurasiatici", il cui motivo conduttore comune è ravvisabile nella "continuità di uno spirito epico che sembra tracimare dalle fasi più antiche, ovvero quelle epigrafiche, per raggiungere la sua apoteosi artistico-espressiva nell'opera letteraria classica per antonomasia: la Storia Segreta dei Mongoli". Oltre a quella appena citata, l'Autore passa in rassegna le Epigrafi dell'Okhon: la Stele di Kül Tegin, la Stele di Biljä Qāghān, la Stele di Tonyuquq.
  Il saggio di Aldo Ferrari si incentra sul tema dei Mongoli e della Russia nell'interpretazione della storiografia eurasista. "Per gli eurasisti – scrive l'Autore – [...] la Russia vera e propria nasce solo in seguito alla dominazione mongola, che la aprì all'espansione verso Oriente, all'"eredità di Gengis Khan", cioè dei grandi imperi delle steppe". È sul lungo periodo che gli eurasisti vedono "il dominio mongolo come un momento sostanzialmente positivo della storia russa, non solo politicamente, ma anche nella sfera spirituale e culturale. A loro giudizio, infatti, a differenza di una conquista occidentale, che avrebbe distolto la Russia dalla sua specificità, in primo luogo religiosa, la conquista mongola sarebbe stata invece rispettosa dell'autonomia culturale russa, favorendone il consolidamento politico intorno a Mosca".
  Mentre Andrea Marcigliano compie una digressione (geopolitica) a cavallo tra storia e ucronia – "una concessione alla libertà della fantasia" – su Attila e gli Unni, Luca Mantelli dedica attenzione alla lunga stagione dei rapporti tra l'ikhanato mongolo di Persia e il mondo cristiano-occidentale nell'arco di tempo compreso tra il XIII e il XIV secolo.
  Sulla figura di Nāder Khan, Šāh della Persia dal 1736 al 1747, si concentra il saggio di Andrea Forti. Quello di Nāder – definito dagli storici successivi "il Napoleone della Persia" – fu l'ultimo "Impero oceanico" della storia ed ebbe il proprio epicentro nell'attuale Iran.
  Salvatore Santangelo prende in esame la rinascita dei cosacchi ripercorrendone brevemente la storia. "I cosacchi – scrive l'Autore – rappresentano una realtà sociale la cui presenza in Russia è documentata da quasi 1000 anni. Una comunità costituita da uomini e donne legati da una comune visione del mondo, da stessi valori culturali, sociali e spirituali. Essi sono il frutto dell'unione di centinaia di tribù, popoli e razze diverse, in continuo spostamento nelle steppe tra l'Europa e l'Asia".
  Alla "straordinaria e geniale personalità" di Bojd Zanabazar I, alias Öndör Gegeen, è dedicato il saggio di Erdenesukh Purev. Zanabazar, diretto discendente di Genghis Khan, fu il "fautore dell'arte religiosa medievale assimilata ai gusti nazionali mongoli ed arricchita con i loro stessi motivi, fu promotore di un'arte classica sussunta a canone estetico di riferimento per l'intero genere umano".
  Gregorio Bardini ricostruisce il ruolo ricostruisce il ruolo svolto dalla musica nell'ambito dello sciamanesimo euroasiatico.
  Alla figura di Ungern Khan è dedicato il saggio di Daniele Lazzeri significativamente intitolato "Il lupo della steppa". Spiega l'Autore che "tutta la storia del "Baron fou", il barone pazzo (o sanguinario per altri) è avvolta dal mistero. Non si conoscono infatti con precisione né la data, né il luogo di nascita, e nemmeno il giorno esatto della fucilazione. [...] Il sottile confine tra storia e leggenda è una delle caratteristiche più ricorrenti quando si parla di questo personaggio".
  Anche Claudio Tessaro de Weth approfondisce la figura di Ungern Khan, "il Barone balto erede di Livoni e Teutonici nel cui sangue scorreva una Conoscenza ancestrale unita al magico "Wut" odinico e guerriero tanto incomprensibile e svilito nella "tradizionale banalità" della modernità figlia del "secolo dei lumi"".
  Sull'esperienza bellica di Ungern Khan, legata alla Divisione di Cavalleria Asiatica, si sofferma Federico Prizzi. Ciò che Ungern Khan realizzò in Mongolia, tra il 1920 e il 1921, nell'ambito della guerra civile russa e dei fatti d'arme del movimento bianco "fu un episodio a se stante, sicuramente influenzato dai forti sconvolgimenti che stavano accadendo in Europa e in Asia nel secolo scorso, ma che, seppur non determinante da un punto di vista pratico, lo fu sicuramente da quello simbolico. Lo dimostra, prima di tutto, il fatto che ancora oggi ne parliamo e tentiamo di studiarlo proprio per capirne appieno la dimensione simbolica".
  Chiudono il volume uno scritto di Pio Filippani Ronconi sul barone von Ungern-Sternberg e un'intervista rilasciata a "Vox Populi" da Jürgen von Ungern-Sternberg.