La fabbrica del mito Stampa E-mail

Fabio Bettanin

La fabbrica del mito
Storia e politica nell'Urss staliniana


Edizioni Scientifiche Italiane, pagg.268, € 18,59

 

bettanin fabbrica  IL LIBRO – Una delle caratteristiche più sconvolgenti della storia del Novecento è la capacità acquisita dal potere politico di governare le coscienze e di guidare i comportamenti dei singoli cittadini. Il regime staliniano si è spinto più avanti di ogni altro nell'uso dell'ideologia come strumento per plasmare la società. Il volume segue l'evoluzione, a partire dall'inizio degli anni Trenta, del momento centrale di questa strategia: la riformulazione del mito del partito guida, depositano della conoscenza scientifica del passato e della capacità di prevedere il futuro. Culmine del processo è la pubblicazione, nel 1938, del "Breve Corso di storia del VKP(b,)"; uno dei libri più letti e influenti dell'intero secolo, nonostante l'assenza di qualità letterarie e di attendibilità storica. «Stalin è morto ieri»: il monito risuonato negli anni della perestrojka spinge ancor oggi a riflettere sul potere che ha l'invenzione della tradizione di condizionare le menti e il corso delle vicende politiche. L'apertura degli archivi della Federazione russa consente di trovare nuove risposte agli interrogativi che esso solleva.

  DAL TESTO – "Il culto del capo era radicato nella tradizione bolscevica. Esso era sorto e si era sviluppato spontaneamente nelle difficili condizioni che avevano fatto seguito alla Rivoluzione. Tutti i dirigenti bolscevichi avevano contribuito alla sua diffusione e il «giuramento» pronunciato da Stalin in occasione dei funerali di Lenin, con la sua «fraseologia di tipo biblico» e la sua «ispirazione liturgica» accentuò, ma non creò ex novo, l'elemento religioso in esso presente. Solo negli anni seguenti esso sarebbe divenuto predominante, conferendo al culto di Lenin l'impronta della visione che Stalin nutriva della politica.
  "Un conto era indirizzare in una determinata direzione un culto già esistente; un altro formarlo dal nulla con una operazione di manipolazione ideologica condotta dagli apparati burocratici. Il mito di Lenin era nato con gli anni, ed era cresciuto di pari passo con le conquiste della Rivoluzione. Il mito di Mussolini «duce del fascismo» era stato preceduto dai miti di Mussolini «socialista», e poi, al tempo della prima guerra mondiale, di Mussolini «uomo nuovo». Rispetto a Stalin anche Hitler godeva di un grande vantaggio: nella memoria collettiva egli era il fondatore del nazismo, e ciò conferì al suo culto un carattere spontaneo assente in quello del vožd.
  "Alla fine degli anni venti, Stalin godeva di un indubbio prestigio fra i membri del partito, ma non di attributi carismatici tali da ammantare la sua figura di un'aura di venerazione religiosa, e l'operazione «culto della personalità», lanciata nel dicembre del 1929, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, si scontrò presto con seri ostacoli. Le virtù che vennero celebrate nella pioggia di articoli agiografici sul segretario generale furono quelle del «condottiero» (vožd') del «capo» (rukovoditel'), del «maestro» (učitel'), e, ovviamente, quella di «migliore leninista», che le compendiava tutte e stabiliva la sua preminenza nei confronti degli altri membri del gruppo dirigente. Nessuno parlò di Stalin come di un batjuška, di un padre che sorveglia sui destini della popolazione: il momento storico richiedeva ai dirigenti come ai cittadini sovietici virtù eroiche, non benevolenza e paternalismo. Il termine «genio» ricorre a volte negli articoli, ma in una accezione simile a quella usata da Stalin nel suo breve saggio su Lenin. «Genio» è quel dirigente politico che in qualsiasi circostanza, felice o avversa, si fa guidare dalla ragione, dalla fiducia nelle proprie idee, e grazie a queste sue qualità mostra, nelle circostanze più difficili, una «geniale capacità di previsione» degli avvenimenti. In definitiva, Stalin veniva descritto come uno statista lungimirante più che come individuo dotato di virtù sovrannaturali. Negli stessi anni Mussolini veniva celebrato dalla propaganda di regime come: «statista, legislatore, filosofo, artista, genio universale ma anche profeta, messia, apostolo infallibile, inviato da Dio, eletto dal destino e portatore di destino, annunciato dai profeti del Risorgimento». La comparazione aiuta a cogliere quanto ristretto fosse, al confronto, lo spettro delle qualità attribuite a Stalin, e quanto esse tendessero alla prosaicità."

  L'AUTORE – Fabio Bettanin docente di Storia dell'Europa Orientale presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Ha rivolto i suoi studi principalmente alla storia del periodo staliniano. Tra le sue pubblicazioni: "La collettivizzazione in Urss 1930-33" (Roma, 1977); "Pro e contro Stalin. La destalinizzazione in Urss" (Milano, 1988); "Burocrazia russa e sovietica. Il problema della continuità nella storia russa" (Napoli, 1991).

  INDICE DELL'OPERA – Capitolo primo. Stalin dixit - Capitolo secondo. La scoperta della storia - Capitolo terzo. La storia come mito - Capitolo quarto. Quale storia? Con quali storici? - Capitolo quinto. Una storia per le nuove generazioni - Capitolo sesto. Caduta ed ascesa degli «uomini inutili» - Capitolo settimo. Quale storia? Per quale partito? - Capitolo ottavo. Una carriera irresistibile: da storici ufficiali a «redattori» - Capitolo nono. Il Breve Corso - Capitolo decimo. Una storia per la «gente migliore» - Capitolo undicesimo. Sulla fortuna del Breve Corso - Capitolo dodicesimo. Altre storie - Capitolo tredicesimo. Dalle «macchie bianche» alla torre d'avorio - Indice dei nomi